Tasmania: cartone iconico d’animazione, e poi… ?
Prima di venire a vivere in Australia, l’unica cosa che sapevo della Tasmania era che ci abitava una diabolica creatura marrone che si mangiava tutto, mobili inclusi. Una turpitudine sempre affamata e in movimento, di cui Cristina D’Avena cantava la sigla. Confesso: al tempo lo odiavo. Mi dava ai nervi.
Non avevo nemmeno ben chiaro dove fosse, la Tasmania. O era Tanzania? Tanto, dal Po in giù… 🙂
Da quando abito down under, però, questa terra si è fatta vicinissima, e non solo: anche la mia preferita. Ecco cosa ho scoperto viaggiandoci.
[Post aggiornato nel dicembre 2022]
Tasmania, dove si trova
La Tasmania è un’isolona a sud dell’Australia, e ne costituisce uno degli otto Stati e Territori; è grande circa quanto un terzo dell’Irlanda e ha la forma di una mela, da cui è detta “The Apple Isle“. Le mele ce le coltivano anche, in quantità, soprattutto nel Sud-Est.
Sin da quando ci si atterra, sembra di stare in un altro mondo rispetto al resto dell’Australia continentale; un mondo più vicino a quello già conosciuto, tipo la vecchia Europa. Vengono in mente certe parti della Scozia.
Mi imbarco all’aeroporto di Melbourne. Lo schermo dei voli in partenza, nell’attesa dell’apertura del gate, esorta: “RELAX”! In Australia, la calma è uno stile di vita.
Uno strano angolo di mondo
Dopo 50 minuti in aria, si arriva. È sempre estate ma fa più fresco, il cielo spesso si annuvola, piovicchia, poi di nuovo il sole, poi pioggia col sole… La mia notoria insofferenza termica impazzisce del tutto. Non siamo ai livelli delle four seasons in a day di Melbourne, però: per vedere una cosa così folle, dovete per forza venire a Melbourne. E la amereste, come me.
I paesaggi tasmaniani cambiano spessissimo. Gli alberi somigliano a quelli alpini, anche se non mancano neanche palme. Strano miscuglio di cose che di solito non vanno insieme. Ci sono spiagge, isolette, scogliere a picco; colline, dove i backpackers raccolgono la frutta in cambio di un pezzo di vita in viaggio; montagne dove d’inverno si viene a sciare.
Ovini, vacche nere, e uccelli diversi rispetto al Mainland (cioè il resto del continente). Gli storni tristi e i lorichetti arcobaleno, veri landmark di Melbourne, qui sono assenti. Ma io sogno soprattutto di incontrare i diavoli!
Tracce di storia antica
In Tasmania ci sono tracce di una storia un po’ più antica di quella a cui mi sono abituata negli ultimi mesi in Australia, perché i coloni inglesi, dopo essere sbarcati a Sydney, in seconda battuta sono venuti qui, esplorando il resto del continente solo dopo.
A Port Arthur, sito storico UNESCO, trovo i resti, non più così sinistri, di una colonia penale che ospitava la feccia della feccia sociale, gli avi degli odierni australiani giulivi che oggi sorridono sempre meccanicamente intonando “Hi, how are you?”.
Ma qui persino le persone sono un po’ meno caramellate che nel Mainland. Una gentilezza più sobria e composta, meno artefatta.
A Hobart, la capitale, le case sono fatte di mattoni, messi su uno a uno, alla vecchia maniera, un dettaglio che quasi mi commuove. Punteggiano tutta la collina verde scuro che affaccia sulla zona in cui il fiume diventa mare, creando un urbanesimo a misura d’uomo.
Le strade vanno su e giù, come in una piccola San Francisco. Per un europeo è un ambiente elettrizzante, tutto insieme nuovo e familiare. Le dimensioni meno sconfinate fanno sentire più vicini a casa.
A Hobart, lepri saltellano nei parchi; davanti al molo principale, una casupola in legno, replica esatta di una costruita al Polo Sud, espone la storia delle spedizioni in Antartide che partivano da qui. Poco distante, in un giardino, una capsula del tempo attende di schiudersi in un futuro non troppo lontano. Ci vedo una certa poesia.
Tasmania, cartone o film d’arte?
A Hobart si trovano anche il MONA, un museo d’arte stratosferico che si raggiunge solo per nave, seduti su una pecora; e un monte di 1200 metri che veglia sulla città, e che sembra messo lì apposta per salirvi con un pullmino e scenderne sfrecciando giù con una mountain bike a noleggio.
E gli arcobaleni! Arcobaleni ovunque.
Lungo la strada
Io e la mia dolce metà affittiamo una macchina e giriamo a caso per l’isola. Sono i viaggi più belli. La sera leggiamo un po’ la guida, le brochures, apriamo la mappa: “Dove vogliamo andare?” “Ti va in questa zona?” “Sì!”. Liberi. Dallo smartphone prenotiamo una camera per la sera dopo, quando ripeteremo il rito. Per campeggiare ci saranno altre occasioni, questo è il primo viaggio australiano da turisti e abbiamo poco tempo.
Ciò che non vorrei vedere
La prima cosa che salta agli occhi per le strade della Tasmania mi spezza il cuore: è la quantità di bestie morte investite. La wildlife, la fauna selvatica, qui è abbondante, ma non ha imparato – e come potrebbe? – che per le strade asfaltate è meglio non passare. I cartelli stradali di avvertimento sono destinati solo agli umani.
Il primo animale morto che incontriamo è un wallaby, una sorta di piccolo canguro. È il momento di mettere in pratica quello che ho visto fare nei video su Youtube: nella zona non passano altre macchine perciò accostiamo, scendo, lo raggiungo. Devo controllare una cosa.
L’esemplare è ancora fresco, dev’essere lì da poche ore. Sorride sereno, come sorridono gli animali. Non dev’essersi accorto di niente, morto sul colpo, ha ancora l’aria di pensare ai suoi arbusti tra i quali saltellare, il musino rilassato. Mosche iniziano a ronzargli intorno. La morte è ancora più perturbante sul volto di qualunque essere, quando arriva senza avvisare.
(Avverto lo stesso senso di inquietante estraneità di quell’altra volta, quando distesi per terra c’erano degli umani, a sorpresa, e sono stata costretta a vederli, senza capire. Scaccio il pensiero e torno al mio wallaby.)
Cosa fare in questi casi
Gli scanso una zampa già stecchita e gli scruto tra le gambe: niente marsupio. Bene. Perché se un marsupiale viene investito, se è femmina è possibile che porti un cucciolo, che sopravvive all’impatto; e allora bisogna fare pressione sul marsupio per estrarre la creaturina, che altrimenti morirebbe di stenti (ma non prima di due, tre giorni), e portarla a qualche santuario della zona o ospedale per animali selvatici affinché se ne occupino.
Il discorso vale anche per i koala (che però in Tasmania, parchi faunistici a parte, non ci sono, perché mancano le varietà di eucalipto adatte a loro), per i vombati, per i quoll (piccoli marsupiali pomellati), per tutti quanti. Per fortuna questo è un maschio.
La volta dopo trovo un possum: stessa cosa. Mascella sfracellata, niente cucciolo. Dopodiché diventa rischioso fermarsi, essendo le strade troppo strette, le macchine troppo veloci. E poi, dopo un paio di giorni, tristemente ci abituiamo. Ho visto più bestie morte che vive, anche perché quasi tutte queste specie sono notturne, e di giorno non se ne vanno granché in giro.
Ma ancora non ho visto i diavoli.
Natura selvaggia e creature native
In Tasmania ci sono anche penisole, parchi naturali, cascate, foreste da esplorare, e naturalmente mare.
Grazie alla tanta natura, dappertutto si fanno escursioni (bushwalking). All’ingresso dei sentieri, spesso un avviso e una tabella invitano a “registrarsi” in entrata e in uscita: se risulta che qualcuno non ha fatto ritorno, altri andranno a cercarlo. Anche questo è il bush.
A volte, all’ingresso del sentiero si è invitati anche a pulirsi le scarpe su una postazione dotata di spazzole e disinfettante, nella fobia tutta australiana per la contaminazione dei suoli. Tracce di terra proveniente da altri luoghi da potrebbero introdurre qualche parassita, non sia mai. Una volta dentro, wallaby saltellanti, lucertole vischiose, formiche velenose, e tanti altri animali osservano il visitatore a sua insaputa.
Gli uccelli li si sente ovunque ma senza vederli, perché gli alberi sono troppo alti, tanto densi che oscurano il cielo. In lontananza riecheggia il gracchiare sgraziato dei cacatua, i grossi pappagalli crestati e petulanti con cui sogno di fare amicizia.
In nessun luogo naturale mi sono sentita tanto fuori posto, tanto ospite estranea, quanto nel bush. C’è tutta una vita segreta che si rivela solo in minima parte, un universo separato, primigenio, a cui nessun umano appartiene; e che è pronto ad estrometterlo prima che se ne accorga.
Mangiamo e dormiamo in piccoli villaggi. Nelle locande il piatto forte è l’hamburger di wallaby. Una volta lo assaggio. Normalmente evito la carne, ma qui voglio sapere di cosa sa. Dopo averne visto uno morto, voglio sapere tutto di lui. Dopo, tutti gli altri wallaby che incontro, li richiamo mellifluamente con nomignoli affettuosi quali “buon cibooo!”. Giustamente diffidano. I canguri invece non temono niente e nessuno.
Tas! Tasmania, cartone finalmente rivelato!
La sera, i possum zampettano sui rami degli alberi per spiare i passanti. Finalmente, da lontano risuona la risata satanica dei diavoli della Tasmania, che scopro non avere nulla a che vedere con quello del cartone. Per quanto in effetti si ingozzino alla stessa maniera.
Nei parchi faunistici sparsi per tutta l’isola, di solito si può assitere al pasto di questi marsupiali (sono i più grossi marsupiali carnivori), che litigano selvaggiamente tra loro per ingollare un pezzo di animale con tanto di ossa e pelliccia. Non ne rimane niente. Poi si rimettono a sbadigliare (persino sui cartelli stradali sono raffigurati sbadiglianti!) e tornano a sembrare bestiole piccole e tenere.
Scopro che in tutto il mondo, solo in Tasmania si trovano ancora diavoli liberi in natura; che sono animali in grado di immagazzinare grasso alla base della coda; e che, così come i koala sono seriamente minacciati dalla clamidia, loro si trasmettono un tumore facciale (un tumore contagioso, rendiamoci conto), da cui la maggior parte degli esemplari è ormai affetta. I vari santuari se ne prendono cura. Qui sotto trovate il mio post tutto dedicato a questi stupefacenti animali.
Fuori dal mondo: pace e poesia
Una delle varie case in cui passiamo la notte è l’ultima sulla strada verso un Parco Nazionale. Zero umani, il check-in ce lo fa un pavone, con tanto di defecazioni di benvenuto davanti alla porta. Lo prendiamo per un complimento. Due pecore belano insistenti dalla casa di fronte.
La notte c’è un silenzio talmente consistente da risultare artificiale, posticcio: si sentono solo i suoni interni del nostro corpo che vive e pulsa, come in una camera anecoica.
Prima di dormire sediamo al buio nel prato, bevendo una birra locale. Guardiamo in alto e stiamo in ascolto. Mai e poi mai ho visto così tante stelle. La fissità degli astri mi colpisce sempre come un fatto illogico: com’è che non si muovono, che non fluttuano, come le nuvole, come in un acquario? Perché non si staccano dal cielo, come fanno a mantenere quei rapporti spaziali invariabili? Almeno una che se ne andasse a spasso per conto suo, che dicesse “Beh, io vi saluto, ci vediamo domani, stessa ora”. E invece no, se ne stanno lì completamente fisse. È la pace più totale, ma anche un momento tanto effimero rispetto a tutta la vita. O è tutta la vita ad essere effimera?
Chiedo ad A. se valga la pena di stare al mondo, pur ignorando cosa ci facciamo. Mi risponde subito di sì, e la sua mancanza di esitazione mi rassicura ancora di più dell’immobilità delle stelle.
Tasmania: cartone che ora adoro!
Il ritorno alla vita reale è attutito dalla schermata dei voli all’aeroporto di Hobart. È la sera del 24 dicembre. Un volo in arrivo è previsto per mezzanotte, poco dopo il nostro decollo: compagnia aerea di Babbo Natale, provenienza Polo Nord. Ho ho ho!
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