Lavorare in Australia per molti è il sogno di una vita. Per altri, soprattutto i galeotti ottocenteschi, un incubo.
Come non buttarsi a capofitto nel mondo del lavoro australiano
Con mia somma esultanza, dopo un’attesa palpitante e un’accurata pianificazione fatte di: inoccupazione del neoimmigrato, volontariato compulsivo, stage promettente, allettata depressione clinica, lavoretti sconclusionati, scuola per diploma costosissimo e viaggi a tempo perso, non necessariamente in quest’ordine, ho finalmente un lavoro a tempo pieno dall’altra parte del mondo. La mia maldestra scalata sociale si compie.
Tutto il caffè del mondo
Questo lavoro, incredibilmente, mi piace, non scade, offre prospettive, corrisponde a ciò che ho studiato; e mi è stato offerto, non l’ho nemmeno cercato. Dopo le fasi succitate, unitamente agli sfiancanti trascorsi europei, la nuova quotidianità mi appare come un sofisticato gioco da ludoteca in cui si sta tutti concentrati ognuno sulle proprie caselle tirando i dadi, manipolando denari in fac-simile con il caffè buono gratis, e in più ogni due settimane si passa dal “Via!” e si riceve un bonifico.
Sono, cioè, esterrefatta. La normalità locale è davvero così facile? Perché ad averlo saputo sarei venuta qui a diciott’anni, e ora sarei l’italianissima CEO dell’ufficio alle mie spalle che ordina apposta il secchio di Nutella da piazzare in cucina (un secchio, non un barattolo!) in onore del nutrito gruppo di impiegati suoi connazionali. Oppure non avrei cambiato niente, mi sarei goduta la mia poco ortodossa sequenzialità e oggi sarei comunque l’ultima arrivata, ma con un curriculum per lo meno fantasioso (del quale ogni australiano si dice impressionato, valli a capire) e una beata consapevolezza. Perché dopo tutto questo, andare in ufficio in Australia è la mia vacanza.
Lavorare in Australia: il colloquio commovente
Miracolosamente, il mio ingresso nella piena occupazione è avvenuto senza intoppi o vessazioni. Selezionatori gentili e puntuali, orari e paga esposti già dalla telefonata preliminare, e niente domande illegali su eventuali intenzioni di riprodurmi (alla mia età, con scritto “tic-tac” in fronte, in Italia sarebbe andata che ahahahahah). Non ho nemmeno dovuto mentire su alcunché, ho spiegato che dopo il trauma non potevo più fare quello che facevo prima, e ho voluto/dovuto ricominciare da zero. Ascoltavano e annuivano, perché in Australia cambiare carriera si può, a tutte le età (pure troppo, ma non addentriamoci nell’argomento).
Di certo ha aiutato il fatto che, da queste remote parti, se parli due lingue inclusa la tua sei degno di ammirazione; con tre, passi per genio, e tutti ti fanno il gesto del braccio orizzontale che sale, che significa “farai strada!”, come a un giovane Al Pacino-Scarface dopo il primo crimine.
I primi giorni, dovendo imparare tutto, vivevo nel terrore di sembrare scema; ma poi ho sentito una collega australiana lì da sette mesi chiedere candidamente “cos’è A-B-C?” – che sarebbe come domandare a un cuoco come si fa il soffritto, o a un dentista la posizione del premolare – e ho tirato il fiato.
L’ufficio. Modernità
In cucina, dove Lucy scorrazza mentre sono a pranzo, stazionano un biliardo, un biliardino e un flipper anni Ottanta; c’è persino una palestra, affinché i salariati non trascurino il benessere psicofisico.
Da un angolo, per un tocco di avanguardia pura, Megan Gale sorride da una foto autografata e abbraccia un koala davanti a uno sfondo mal photoshoppato dell’Opera House.
Il venerdì o casual Friday sfilano le variopinte interpretazioni vestimentarie del concetto di disimpegno sul lavoro. Compaiono delle infradito. E a dirla tutta, non solo il venerdì. Shhh.
Lavoro e accettazione dei Misteri
In una mansione dal titolo eufonico di cui ignoravo persino l’esistenza, vivo dunque il felice oblio di me stessa e dei miei granulosi pensieri. Mando e-mail quotidiane a un fantomatico destinatario d’oltreoceano senza saper decifrare, dal nome, se la cortese figura sia maschio o femmina – ho chiesto in giro solo per scontrarmi con un alone di fitto mistero. È un po’ come comunicare con Dio: “Dio, per favore, potresti eseguire questo?”, e lui/lei, da un misterioso luogo e tempo, prontamente esaudisce. (Dall’alta percentuale di risposte positive, deduco che non si tratti del Dio cattolico).
Lavorare in Australia: comunicare giocando
Le telefonate all’assistenza tecnica hanno il sapore della battaglia navale. – “My PC number is LIMA-UNIFORM-CHARLIE-YANKEE” – “(Accento indiano) Ok, please type in: WHISKEY-OSCAR-MIKE-BRAVO-ALPHA-TANGO” – “Oh yeah, it works! Cheers!”, e questa è più o meno l’unica interazione orale che mi tocca ogni tanto (al massimo compro una vocale). Il che mi riempie smodatamente e silenziosamente di gioia.
Interazione e solennità
Mando e-mail anche a gente seduta a quattro metri di distanza da me, che invece di alzarsi in piedi e comunicarmi a voce la risposta sì/no, mi scrive:
“Cara […],
(se di venerdì): Buon Venerdì! (Esiste anche l’inspiegabile variante ‘Buon Lunedì!’)
Eccoti la risposta: sì (/no).
Grazie,
Cordiali Saluti”.
Lavorare in Australia: colleghi ologrammi
Tutti sono estremamente gentili, dicono “per favore ” e “grazie ”. Dev’esserci però, da qualche parte, un trasformatore olografico di cui sono all’oscuro, che rende trasparenti le persone. Infatti basta sedere a due scrivanie di distanza, che l’etichetta non prevede più che ci si saluti/rivolga la parola. Ora, è vero che la mia asocialità di depressa-e-ferita-dagli-umani-in-incognito non disprezza l’assenza di tentativi di interazione, e in pausa pur di non dover partecipare a un eventuale small talk sfodera un romanzo di ottocento pagine, ma questa diafanità collettiva è troppo. Qualcosa non va.
Ogni mattina, all’ingresso di ciascun collega che mi si viene a sedere di fronte senza una parola, vorrei strapparmi via la giacca, trasformarmi in un feroce Hulk e urlare, battendo i pugni sul tavolo: “Perché non dite Buongiorno/Arrivederci (e poi nelle e-mail siete zuccherosi)?!?!? Che problema avete?!?!?”.
A quella di fronte a me, una volta ho azzardato un “Come va?”, ha risposto: “Bene.” Hic est.
Se avete problemi alle corde vocali o siete affetti da sordità o mutismo, potete fare il mio lavoro.
All’uscita, tutti fanno la stessa strada, ma nessuno la percorre insieme a qualcun altro. Per me personalmente va anche bene, perché mi interessa solo il lavoro e non il dover parlare di me, ma sociologicamente c’è un problema.
Colleghi scomparsi
Oltre la trasparenza: ho chiesto dove sia andato il tizio che occupava il mio posto, mi hanno detto che è morto. Giustamente. Dovevo arrivarci. Lucy, acquattata sotto la scrivania, ha sbadigliato, mentre in risposta decoravo la mia postazione con foto di bestie per marcare il territorio.
Il responsabile invece ha appena dato le dimissioni per ritrasferirsi su nell’umido Queensland tropicale natio. Un posto che io, a viverci, mi appenderei a una palma importata dopo tre giorni; lui invece ne parlava con gli occhi luccicanti. “C’è un nuovo stadio!”. E ancora: “C’è sempre il sole! C’è un fantastico stadio! Il bel tempo! Lo stadio! Melbourne is crazy!”, e questo è quanto. Sparito, e il giorno dopo non si parlava più di lui. Ologramma spento.
Calma e autodisciplina
Partito il responsabile mi aspettavo l’anarchia; invece tutto procede placido e autodisciplinato come sempre, come il fiume di Eraclito prima che arrivasse Eraclito a dire che quello lì in realtà non era già più lo stesso fiume. E visto che tutto scorre così tranquillo, l’annuncio per il rimpiazzo non è ancora nemmeno stato pubblicato. La gente arriva e va via puntualissima ugualmente.
Lavorare in Australia: e poi?
Ecco, la normalità dovrebbe essere all’incirca questa qui.
Grazie al nuovo stipendio, finalmente posso fare cose a cui finora non osavo neanche pensare, tipo Spotify Premium, prenotare il teatro e la spa o mettere via i soldi per vedere la Grande Barriera Corallina, sempre se a furia di rimandare non si sbianca tutta prima.
Sulla strada dell’ufficio arriva l’odore del mare. I pappagalli si fermano a rosicchiare le aiuole. Quindi mi domando: la gente vive così tutta la vita? Vive, ama, lavora e crepa? E poi?
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Grazie e buona lettura! 🙂
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