Com’è fatto e cosa fa un ospedale per animali, in particolare selvatici? E come riuscire a scriverne senza sciogliersi del tutto?
Premessa. Come raccontare un posto così speciale?
Lo wildlife hospital, l’ospedale per animali selvatici di Healesville (siamo nel Victoria, Australia), è un posticino semplice da raccontare. È piccino, e ogni cosa vi è pensata per essere divulgata. Eppure mi richiede ugualmente qualche sforzo:
- Un’iniezione preventiva di insulina, contro la sicura impennata glicemica nel rievocare un luogo così zuccherino.
- L’ammissione di fatti imbarazzanti, quali l’aver inquietato persino dei bambini con la mia smania documentatrice.
- L’ansia da prestazione nel raccontare, tipica di quando amo pazzamente qualcosa e spero che, da qui a chi mi legge, nemmeno una molecola del mio diabete acquisito si disperda tra i pixel.
- Il tentativo di restare concentrata sulla nobiltà, l’abilità e la tenerezza dei gesti assistenziali rivolti ad altre specie viventi, senza ampliare il discorso e tirare in ballo l’odierna umanità in sovrannumero e distruttrice (né invocare il meteorite per farla finita in fretta).
In pratica, mi trovo a scrivere in equilibrio precario tra la liquefazione amorosa e l’invettiva.
Un luogo prezioso, a un’oretta a nord-est di Melbourne
Questa clinica aperta al pubblico si trova dentro lo Healesville Sanctuary, il miglior parco faunistico del Victoria, specializzato in animali locali spesso rari. Potevo forse non andarci?
Già il cartello di benvenuto per i visitatori, all’ingresso, è di per sé un atto di resistenza. L’attività di chi lavora qui è caparbia, e soffre delle politiche di un governo attuale che se ne frega in mille maniere degli habitat altrui.
Sempre più animali vengono raccolti dai cigli delle strade e portati qui in fin di vita, per cause svariate. Informare le persone delle sofferenze della wildlife è necessario, allora, anche per far sì che chi vota sappia con completezza chi, e cosa, va a sostenere. Possibilmente qualcuno che non abbia in mente solo di asfaltare.
La suddetta scritta di benvenuto è un atto anche di inganno, simile alle decorazioni di panpepato sulla casetta di Hansel e Gretel: perché attira il passante all’interno per poi rendergli molto difficile uscirne, soprattutto se ha un animo sensibile e fantasioso. Si può persino ascoltare il battito del cuore registrato dei diversi animali!
E poi c’è una sezione speciale… Ma andiamo per ordine ed entriamo.
L’ospedale per animali selvatici: marsupiali e chirurgia
Nella hall, un monitor trasmette in diretta l’intervento salvavita su un orsetto koala addormentato, sdraiato sul lettino, intubato e con una zampetta fasciata. Da dietro una vetrata si intravedono i veterinari che operano dal vivo. Mi emoziono perché sono immagini che ho visto spesso su internet, ma di persona mai. Vorrei mimare un “grazie” a una dottoressa al di là del vetro; non mi vede, tutta concentrata sulla bestiola. L’orsetto non lo sa, ma di sicuro sta sognando di poter grugnire impunemente in un harem di orsette.
Perché e come opera un ospedale per animali selvatici
Una delle custodi del parco è a disposizione per informare i visitatori. Cosa fa l’ospedale degli animali selvatici? Cura gli animali selvatici! Ok, ma perché li cura?
Per rimediare a malanni causati dall’uomo; e perché in Australia, sempre grazie a noi, si sta verificando un’allarmante riduzione delle specie viventi a un tasso più alto di ogni altro continente. Ogni esemplare è importante, ogni vita conta, non solo in quanto tale, ma spesso anche rispetto all’intera specie. Non se ne parla nei discorsi e nei programmi politici, naturalmente, e le news danno informazioni vaghe; ma chi si appassiona all’argomento e lo approfondisce scopre dati desolanti. (Argomenti più dolenti, per i quali rimando i più interessati alla conclusione del post: disboscamento – siccità e incendi – incidenti automobilistici – malattie).
Dentro l’ospedale, però, preferisco pensare in positivo e informarmi sulle attività dei veterinari, dettagliate dalla presa in carico al rilascio dell’animale. Che poi è il fine ultimo delle operazioni: tutto deve puntare alla reintroduzione in natura. Sono in mostra cibo, strumenti, macchinari… Se ne esce con un senso ancora più forte sia della precarietà, sia della bellezza e particolarità della fauna australiana.
Bambini-veterinari!
Prima di uscire visito la sezione speciale, quella colpevole per la mia immediata iperglicemia: l’ospedale della wildlife… per bambini! Con gli animali di peluche e tutto, ma proprio tutto, l’occorrente per occuparsi degli animali feriti, a partire dallo spogliatoio dei veterinari. Sono in dotazione bende, barelle, siringhe giocattolo, persino le schede mediche e i trasportini. E il lettore di lastre a raggi X… Tutto irresistibilmente di taglia ridotta.
Avviene un prodigio. Di solito, io i bambini li vedo come misteriose creature dall’infinita, spossante energia, cerco perciò di tenermene educatamente alla larga senza disturbarli (ossia esattamente come vorrei che si facesse con me), per non cadere vittima di strilli o di quegli improvvisi, malefici cambi di direzione in corsa. Invece, davanti alla visione di questi educatissimi cuccioli d’uomo che si prodigano per medicare coccodrilli, steccare ali di pipistrello, somministrare anestesie ai canguri e auscultare vombati, il mio cuore si scioglie, e forse qualche speranza per l’umanità la vedo ancora (forse). C’è persino un esemplare di maschio adulto che fa la puntura a un wombat dopo averlo avvolto in una copertina – ma poi guardo bene e vedo che è la mia dolce metà, altrettanto immersa nella parte.
Ovviamente sprovvista di senso della misura nel manifestare entusiasmo, mi avvicino al tavolo operatorio e mi lancio in una fasciatura su un piccolo marsupiale. Dopotutto ho la certificazione australiana livello avanzato di primo soccorso! Alterno le manovre a scatti fotografici per documentare il tutto, senza rendermi conto di stare impersonando proprio una di quelle Instagrammer che nella vita reale, pur di azzeccare l’inquadratura, lascerebbero agonizzare in sala operatoria il proprio paziente.
In breve noto che la mia presenza, alla faccia dell’urgenza di fare del bene indiscriminato, crea un’atmosfera sospettosa nel disciplinatissimo ospedale dei veterinari-bambini. Uno di loro mi sorveglia inquietato, l’animo già da primario esperto, di quelli alla “Signora, abbia pazienza, ci lasci lavorare!”. Allora decreto a malincuore la fine del mio turno, per il bene della medicina, e torno alla visita del parco. Mi aspettano ancora il canguro arboricolo e tante altre creature, alcune delle quali uscite proprio da qui!
Postilla – I malanni principali per la wildlife australiana (e non solo)
- La perdita di habitat. Esempio concreto: pochi giorni fa, lo Stato del New South Wales ha rieletto un governo che ha contribuito, in soli tre anni, all’aumento dell’800% del disboscamento locale. (Il Guardian riporta che nel 2013-14 sono stati rasi al suolo 900 ettari di foresta, diventati 7390 nel 2015-16). Gli alberi sono casa e cibo per tante bestie locali: uccelli, marsupiali, insetti… Tanti koala muoiono perché si trovano ancora sull’albero, magari a decine di metri di altezza, quando l’albero viene abbattuto.
- Gli automobilisti che guidano come pazzi. Per accorgervene, basta guidare dopo il tramonto su una strada australiana rispettando il limite di velocità: sarete i più lenti, tutti vi sorpasseranno. Voi riuscirete probabilmente a frenare evitando animali saltanti che attraversano la strada, gli altri guidatori no. Vi toccherà, se ve la sentite, essere quelli che controllano le carcasse fresche.
- I materiali dispersi dall’uomo nell’ambiente.
- Le malattie: alcune già presenti in natura, altre diffuse per via della salute già debilitata.
- Gli incendi, una piaga dolorosissima da queste parti, di cui si parla come se fosse un flagello piuttosto normale. Sono aumentati con il riscaldamento climatico e con certi atteggiamenti distratti o dolosi degli umani. (Quest’estate, ad esempio, è bruciata una parte significativa di foreste della Tasmania, lasciando tante comunità in ginocchio). Gli animali che sopravvivono si trovano feriti, intossicati, in shock e senza casa. Nel 2009, l’anno più nero che ancora si rievoca con orrore, tutti i residenti animali di Healesville e dell’ospedale sono stati spostati in altri due parchi regionali con l’aiuto della comunità locale, perché il fuoco arrivò quasi a lambire il Sanctuary.
A presto con bestie sane! Insieme alla sottoscritta vi saluta anche Lucy, il vombato che veglia silente ma sempre presente sul blog. 😉
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Grazie e buona lettura! 🙂
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