Per finire a parlare della Melbourne Star, la mitica ruota panoramica di Melbourne, la prendo da lontano. Esattamente come è stato fatto con me.
La ruota panoramica dei cervelli morti
Il mercoledì, nel luogo nefasto dove passo alcune ore della mia settimana melbourniana per un progetto, è il giorno della morte dei cervelli. Ossia: gli ignoranti cervelli dei presenti si prendono per mano e, come i topi al seguito del pifferaio magico, in un giulivo girotondo tutti insieme si suicidano. Lo stupefacente mercoledì! Il disperante, psicotropo mercoledì!
Questo mercoledì si parla di Melbourne Star, discorso che culminerà con una visita guidata. Oh, come vorrei che poteste assistere, e condividere con me i sintomi dell’LSD, o per meglio dire, del supervisor che ci dà istruzioni – è uguale! Mortifero. Stavolta me l’ha detto anche una bottiglia di Coca Cola: mi è saltata in mano e dopo un’occhiata alla mia faccia ha esclamato “Oggi mi condivido con una salma”.
Preparazione alla visita: l’incubo delle istruzioni
Il tema del giorno è un meeting da organizzare, da svolgersi alla base della famosa ruota panoramica. Penso: bisognerà prendere un foglio, intestarlo, scriverci di cosa si tratta – fine. Easy-peasy. E invece no! Il meeting si rivela essere (musichetta sospesa di Shining) dei mini-meeting a gruppetti (musichetta dell’orrore di Hitchcock). Un pulcioso lavoro di gruppo, in cui finirò a fare tutto io! Preferirei essere gettata in un pentolone di pece e poi ricoperta di piume, purché da sola. Ne uscirei più velocemente.
Il supervisor ci dà una check list che sembrano le istruzioni per costruire la Morte Nera con gli stuzzicadenti. Spiega che dobbiamo fare A, poi ripete: “B. Capito? A! Sì, B. Copiate pure da C” (che non c’entra niente). Chiedo: “Dunque dobbiamo fare A o B? Non è il caso di escludere C?” – Supervisor: “A! B! Certo! Fate pure B, e/o A, proprio come C”. La spiegazione dura quaranta minuti.
Le riunioni australiane: si vola!
La giapponesina del mio team, sgomenta, scappa in bagno e non ricompare più. La coreana sceglie la via dell’aggressività, se solo il suo inglese fosse comprensibile. Il filippino saputello si è dato malato. Ma poi in quanti siamo nel team? In tre, ah no otto, cioè cinque. L’australiana perfettina – una tipa con l’accento così gutturale che, più che parole, con la voce produce grattate sull’asfalto – parla e parla senza quagliare, finché la sua gutturalità, unitamente al disgusto sociale, non mi provoca la sensazione di un conato di vomito. La pancia mi si attorciglia. Tutto talmente alienante che inizio a trovarci un’attrattiva, come a teatro. Prendo mezzo Xanax per apprezzarlo meglio.
“Be a team leader, be a Melbourne Star!“, la favola spaventosa per adulti
Osservo la scena come al rallentatore, identificando il momento preciso in cui potrei sciorinare la tanto osannata leadership con cui ci ossessionano (ispirate le persone! abbiate una visione! ecc.), e trasformare il caos in ordine e disciplina con le stesse illuminanti scie magiche dello scettro di Sailor Moon. Ma nella mia propensione a sabotare ciò in cui non credo, l’unica cosa che sfodero, oltre all’intimo dissenso, è un’aria da geniale e instancabile artigiano fiorentino cinquecentesco che lavora solo nel completo isolamento; e, sempre annuendo, mi metto a fare tutt’altro al pc (nel dettaglio: cercare una nuova veste grafica per questo blog).
Nel cimitero dell’intelligenza
Lacrimo internamente, celebrando il funerale delle menti pensanti in terra australiana. La terra che nessuno ha ancora capito come riempire di contenuti veri, pregnanti; e che allora ti insegna a seguire protocolli, a consultare policies and procedures, a costruire crisalidi vuote composte unicamente di strutture con dentro il nulla. Quella che ti istruisce per pensare dentro al coro, per eseguire punto per punto e guai a invertire l’ordine. E intanto ogni giorno, lentamente e inesorabilmente, la tua capacità cognitiva si accartoccia, sempre più dimentica dei tempi migliori.
(Nello stesso momento, in rete, vedo una foto di una grossa torta di compleanno a forma di scatola di Xanax e rido molto. Ma subito una signora commenta “Ma non bisogna scrivere il nome dei farmaci, poi qualcuno emula! Admin!!1!”, e io “Ma è una torta!”. Vengo ammonita perché “Per chi prende il farmaco non c’è niente da ridere”. Sipario).
La Melbourne Star e altre cose tonde che girano
Nel pomeriggio, insieme ai mini-team, mi reco finalmente a incontrare lo staff della Melbourne Star, la titanica ruota panoramica a forma di stella che intende far concorrenza al London Eye di Londra. Ci parlano di marketing, vendite e affini. Raccontano aneddoti. Una volta ad esempio hanno riempito alcune cabine con sabbia e ombrelloni, per farne una microscopica spiaggia sotto vetro sospesa a 120 metri di altezza. Mi impegno a dire qualcosa di intelligente: domando A, però mi rispondono B, e nessuno se ne accorge. In compenso si autolodano per la loro attention to detail.
Ormai ho nostalgia persino di quelle persone che al posto di situazione ansiogena dicono ansiolitica: datemi qualunque cosa nel mio italiano, finanche sbagliato, purché sia frutto di un errore isolabile e non di una sistematica tara cognitiva. Vi prego.
Ansia volante dentro la Melbourne Star
Dobbiamo salire sulla ruota. Prendo l’altro mezzo Xanax e mi preparo a volare. Il giro, invece che “corsa”, come sulle giostre, si chiama direttamente “volo”, sebbene vada alla velocità di 1 all’ora.
Il mio ansiolitico occasionale, comunque, in realtà ha una ragione ben diversa dall’ansia sociale: ho una paura ancestrale delle altezze in movimento, un terrore propenso a sfociare nel panico. Di recente in un parco faunistico mi son fatta strisciare addosso due serpenti, ed ero raggiante; poi però un’innocua ruota panoramica mi angoscia, vai a capire.
Per distrarmi dall’afflizione scatto foto, ma la verità è che la vista, dal modico prezzo al pubblico di 36 dollari (con la scusa che si ha diritto a un secondo giro dopo il tramonto), è bruttarella assai, almeno di giorno. Non c’è granché bellezza perché siamo sopra i Docklands, l’area portuale commerciale, dei capannoni degli studios televisivi, dei centri commerciali semivuoti e posticci.
Invece la mia Melbourne al sole è un’altra cosa. La mia Melbourne è la vita di St Kilda, il lungomare, il Luna Park del 1912, i parchi verdi, la street art, le casette basse con le verande e i giardini. Non questo. Non chiusi in una capsula senza poter sentire il vento. La mia Melbourne è libera e non costringe. Nella mia Melbourne, inoltre, per ammirare un bel panorama senza spendere, si può salire al 36esimo piano del Sofitel di Collins Street, infilarsi nella loro lussuosa toilette e godersi una vista spettacolare dal centro città. Gratis.
Quando finalmente torno libera, il sollievo mi sale talmente di botto che mi addormento sul tram verso casa.
Il guaio panoramico
Mi riscuoto all’ora del risveglio europeo, così iniziano ad arrivare i messaggi. “Lucy, cosa è successo alla tua amica umana? E al blog?”
Altro che geniale artigiano fiorentino! Ho importato un demo mentre sperimentavo cambi di grafica al blog, e l’intraprendente demo si è messo a inviare email di notifica a destra e a manca con i suoi finti nuovi post in latino. Vuote crisalidi, strutture con dentro il nulla: tutto torna, come un boomerang. E stavolta neanche un australiano da incolpare! Scusate, carissimi lettori!
La cosa bella è che ad avvisarmi sono anche persone insospettabili. Oppure persone che tengono anche loro un blog, e hanno ben presenti i disagi tecnici. Il mio cuore provato dalla giornata si ritempra un pochino… È anche per questo che esiste Lucy.
Ed esiste anche il dolce parente boomer, che mi domanda serio serio: “Perché mi hai mandato 34 email?”
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Grazie e buona lettura! 🙂
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