“Brisbane, cosa vedere in 2 giorni senza perdermi l’anima della città?”, mi chiedevo.
Appena arrivata nella sbrilluccicante capitale del Queensland non ho avuto dubbi, perché ho capito subito da chi farmi guidare: da Skipper, la sorellina di Barbie! Ecco il mio reportage.
La mia guida immaginata, tropicale come Brisbane
Che questa sia la città di Skipper è stato il mio primo pensiero. La classica Barbie (declinata in Aussie Edition) di sicuro abita a Sydney in una villetta con vista spiaggia, viaggia, fa cose e vede gente; invece Skipper, la sorella più giovane, popola senz’altro Brisbane. In circa un milione di esemplari replicati.
A Brisbane tutto è scintillante, e si è circondati da innumerevoli Skipper!
Skipper condivide con i genitori una di quelle tipiche casette ormai d’epoca dette Queenslander (perché appunto siamo nel Queensland), simili a palafitte anche quando non affacciano direttamente sul fiume o sul mare. Costruzioni un po’ spartane, un po’ graziose e spesso pure un po’ storte, dato il territorio tutto ondulato.
Le strade vanno su e giù in tutte le direzioni, costeggiate da immense macchie di verde, alto, denso, inglobante. Quanto basta per rasentare una perfezione di serie B.
Sul fiume, invece (il Brisbane, perché a Brisbane ci sono parecchie cose ma la fantasia non è che sia proprio al primissimo posto), Skipper ci prende l’aperitivo, al tramonto, rilassandosi in terrazza panoramica con vista mozzafiato sullo skyline del centro, proprio come indicato sul catalogo dei giochi Mattel®.
Bestie assurde in pieno centro città
Come tutta la gente del posto, Skipper non fa caso alle iguane che se ne vanno a spasso placide e mansuete, verdognole e impettite, senza guinzaglio, ovunque ci sia un po’ di verde e un bel panorama da godersi. Io invece sì: quando scorgo la prima sobbalzo per la sorpresa, poi rimango incantata a osservarne ogni mossa. Iguane libere in città!
Skipper semmai fa più caso a me, mentre armeggio vistosamente con il cellulare in cerca del giusto scatto del rettile, e sembra stupirsi. Sono di Milàààno, vorrei quasi dirle, ma temo non capirebbe.
Skipper non sembra notare nemmeno i maestosi alberi dove la sera si raggomitolano a testa in giù i flying-foxes, o volpi volanti: pipistrelli che sembrano piccoli piccoli e tranquilli, finché non si alzano in volo spalancando mezzo metro d’ala. Stanno appesi e sonnecchiano, e ogni tanto litigano lottando tra loro scuotendo tutte le fronde, dalle quali giungono solo versi striduli. Ma mai acuti quanto la voce di Skipper, nel salutare le amiche col suo “Hiiiiiiii!!!”.
Skipper mi osserva divertita anche mentre mi fisso a testa in su sotto a un ramo indicando le bestiole, con un sorriso a trentadue denti; almeno fino a quando non sento uno splash! provenire da lassù in alto e mi scanso appena in tempo, scoprendo così che anche a quei musetti carini avvolti nelle proprie ali, quando scappa, scappa.
Skipper non si scompone nemmeno davanti ai ragni in apparenza radioattivi, che passeggiano nell’aria su fili invisibili. Bestie sataniche che immagino appostate con il preciso scopo di divorarmi. Li fisso inorridita; il mio cuore si perde via qualche pulsazione. Skipper Australia invece non fa una piega e continua a sorridere.
(EDIT: al tempo non ero ancora stata alla mostra Spiders!, – reportage qui – dove ho imparato ad ammirare e apprezzare questi stupefacenti animali).
Insomma: l’essere esotico qui sono io, non gli animali (mi viene il dubbio che io risulti esotica un po’ ovunque, ma non fa niente)!
Una popolazione che corre e non si stanca
Skipper fa jogging sul lungofiume per mantenersi nella sua splendida forma. Corre la Skipper ventenne e corre la Skipper cinquantenne. Corrono tutte! Senza mai ansimare!
Poi, da dentro alle loro canottiere e visiere anni 90 e senza una sola goccia di sudore (in barba allo sforzo e all’umido tropicale), si fermano all’improvviso, per sedersi a sorseggiare un cocktail colorato sotto le palme.
Corrono i fidanzati e i mariti, l’altra metà del cielo azzurrissimo di Skipper, ossia l’altro milione di abitanti della città. Corrono anche le fidanzate e ora anche le neomogli delle Skipper (perché in Australia è passata la legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso! Civiltà!).
L’unica che non corre sono io.
Il pazzo divertimento di Brisbane
La sera, Skipper e le sue amiche si recano a pascolare nelle strade della movida. Cenano nella via di Chinatown (al singolare, che la zona è piccola), nel West End e nei chioschetti lungo le rive del Brisbane; bevono, vociano e starnazzano. Confabulano di shopping e del prossimo megacentro commerciale nuovo di zecca, dove darsi appuntamento l’indomani, dopo lo yoga.
Passeggiando schivano Aborigeni alcolizzati e junkies che ascoltano la radiolina, svaccati per terra nel quartiere per adulti accanto a bottiglie vuote.
Uno smisurato contrasto uomo-natura
Skipper, troppo abbagliata dall’incontro del sole scintillante con la sua biondezza, non nota che per far spazio ai parcheggi multipiano, agli uffici, alle agenzie e agli abitanti stessi, intere zone del centro sono state sventrate e riempite d’asfalto, di corsie per le auto, di svincoli multipli, di segnaletica e di grattacieli grigi, grigi e ancora grigi. Skipper non ci bada; si bea semplicemente della street art che spunta copiosa in giro ed è felice.
È felice perché può chiudere in macchina i suoi sciccosi sacchetti dello shopping, sgambettare via dal megaparcheggio e andare a prendere il sole nel luogo che più di tutti le appartiene: Street Beach.
Street Beach, la perfezione in una spiaggia
Pare essere questo il luogo di diletto e distensione preferito di tutta Brisbane. Più ancora dei ridenti, maestosi giardini botanici ospitanti mille specie di piante grasse e magre, o del cupolone del planetario che veglia sulla città dal famoso monticello che pochi autobus concedono di visitare anche ai residenti povery, o ai turisti sprovvisti di camper di Barbie.
Street Beach è come un tempio, un santuario che mi conferma che no, non ho le traveggole: siamo davvero nel mondo sberluscente di Skipper, con tanto di gloss e palloni da spiaggia. Street Beach è un lifestyle con un proprio culto. Ben più di un vero tempietto regale che sorge poco lontano (una pagoda nepalese che riposa tra una fitta foresta urbana di bambù e palme, talmente ricca e magnificente che nessuno la visita). Street Beach è the place to be. Va detto: è un posto incredibile.
Contiene tutto l’occorrente: piscinetta (“-etta” per modo di dire) più spiaggia, accanto al lungofiume, con vista eccezionale. Tutto non affollato, tutto pulito, tutto ordinato, tutto tranquillo, tutto fiorito, tutto soleggiato ma anche ombreggiato. Tutto gratis. Per tutti.
Rimiro la scena, indecisa se dare inizio alle procedure (burocratiche? magiche?) per trasformarmi in una Skipper o, più verosimilmente, darmela a gambe, ché è troppo perfetto e io non mi fido.
Dov’è il trucco? Ma poi, a Brisbane qualcuno lavora? Nel mondo di Skipper tutto sembra possibile e patinato, alla portata di chiunque.
In cerca di cultura a Brisbane
Allora provo ad entrare in un museo, per controllare se ci sia dentro qualcuno o se non sia un ologramma. Anche il museo è patinato. Per la verità, è un intero quartiere di musei patinati.
Dentro, cose belle ma messe un po’ a caso, come nel supplemento al catalogo Mattel®: si entra e si diventa tutti un po’ Skipper. Il cervello non ha proprio voglia di impegnarsi – sarà l’umidità nell’aria.
Un pannello spiega cosa sia la Divina Commedia; fa sapere che i quadri lì esposti relativi all’Inferno illustrano “i suoi dodici canti”. Sgomenta, cambio sala. Tante opere, ma soprattutto tanto spazio vuoto.
Rimiro i manufatti aborigeni a forma di echidna. Mi prometto che la prossima volta cercherò più nessi, non guarderò solo le figure come Skipper. Esco.
Andandomene lascio un’offerta per compensare il fatto di essere entrata gratuitamente, e una Skipper con l’uniforme del museo ringrazia cinguettando.
Il disagio nascosto: morale della favola di Skipper
Il tempo di ripartire arriva in fretta.
Per un weekend ho seguito una mia immaginaria Skipper, tallonando le orme invisibili di un disagio che subodoravo, che ipotizzavo serpeggiante ma che non riuscivo a scorgere, sotto tanto benessere.
Ma poi l’ho scovato.
Eloquente, lapidario, inevitabile. Il disagio che doveva esserci.
Qui. Sul ponte con vista sui grattacieli. Per tutti. Yay!
[Ultimo aggiornamento: 24/07/20]
Leggi i reportage sulle altre città: Canberra, Adelaide, Sydney, Hobart, Melbourne
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