Due anni dopo averlo scritto, ho deciso di reintitolare questo post da “Non ero io quella con i kalashnikov!” a “Il senso di colpa del sopravvissuto“. Perché tutto ciò che contiene è espressione esattamente di questa sindrome, dopo quello che mi è successo.
Buona lettura a chi è interessato alla psiche umana.
Pensieri sottoterra
Ormai conoscete il mio wombat Lucy, le sue zampette artigliate, il suo scavare sottoterra e girovagare qua e là nei tunnel.
Lucy incarna la leggerezza che mi serve, la noncuranza verso le complicazioni e la gioia di esplorare il mondo per puro istinto vitale. Lucy ama la luce del sole, ma si sente a casa anche là sotto, nel buio del sottosuolo. Sa cosa c’è lì e lo accetta.
Spero di riuscirci anch’io, un giorno.
Qualcuno che non riesco a nominare
Io e Lucy sappiamo che lì sotto da qualche parte, tra una radice e una pietruzza, c’è anche qualcuno che non ci dovrebbe stare. Lucy è troppo primitiva per questi ragionamenti (beata lei), ma io no, e quindi faccio quello che è in mio potere per combattere l’ingiustizia – porto questo qualcuno con me, come posso. Di tanto in tanto lo chiamo e lo porto a fare un giretto.
O meglio la chiamo e la porto, perché questo qualcuno ovviamente è una lei. E ha un bel nome, ma non per questo lo scriverò.
Lei
Non so molto di lei – non la conoscevo di persona –, ma quanto basta per sapere che era fantastica. Che dovrebbe essere ancora qui, proprio come me. Che per nazionalità e percorso di vita era più simile a me di tutti gli altri; solo che quella sera, in cui cercavamo solo un po’ di spensieratezza, a lei è andata peggio.
E così a volte la faccio comparire un pochino accanto a me, pacatamente. È la mia rivolta. È parte del mio senso di colpa del sopravvissuto.
Non riesco ad essere arrabbiata – vorrebbe dire essere travolta da una slavina di rabbia infinita che mi annienterebbe in un istante; e allora il cervello, per proteggermi, mi seda, mi scherma. Crea giusto un’immagine aggraziata e un sorriso luminoso.
Il senso di colpa del sopravvissuto
A volte mi convinco che dovrebbe starci lei, qui al posto mio. Ma ho fatto abbastanza psicoterapia, da sola e in gruppo, per sapere che è un pensiero normale, difficile da contrastare. Sono stata aiutata a tenere ben presente che non è colpa mia, perché come ben riassunse una di noi durante una seduta collettiva: “Non ero io quella con i kalashnikov!”.
E ciononostante ogni tanto mi sento uno schifo lo stesso, con i miei tunnel dispersivi e non conclusi, con il mio stagnare, con il mio “potrei fare di più“. Con il mio senso di colpa. Io sono quella sopravvissuta, e devo farci i conti.
Esserci ancora
Nei momenti in cui vivo qualcosa di particolarmente intenso, lei compare con delicatezza accanto a me. Nella mia testa le mostro quello che sto guardando, e so che lo apprezza e che sorride. Sin da quando ho saputo di lei ho deciso che l’avrei portata con me in viaggio, in giro per il mondo. E il suo ricordo mi esorta a non smettere mai di dubitare, di farmi domande, di restare vigile.
L’ultima volta che ho visto la Statua della Libertà, l’ho guardata con lei.
Era con me quando me ne sono andata a cercare una tregua tra le pecore irlandesi, quando leggevo messaggi di pace su un muro una volta costruito per odio, quando sono salita sulla mia prima cima di una montagna e ho guardato giù.
Quando ho osato tornare a mescolarmi alla folla, tremante di angoscia, ed è spuntato un arcobaleno.
O quando sono corsa giù da una duna di sabbia con la stessa foga di un cane lasciato per la prima volta senza guinzaglio, e quando in Scozia ho trovato l’oblio di parole cattive.
A Lisbona quando mi sporgevo dal finestrino del tram per sentire il vento e sbalordirmi, quando abbracciavo le mie amiche a Praga e piangevamo insieme salutandoci, quando me ne sono andata più lontano.
Dall’altra parte del mondo, quando ho visto l’alba viola nella strada sotto la nuova casa.
Quando ho constatato con i miei occhi che al mondo i koala esistono davvero – e che ricominciare è possibile, almeno finché respiri ancora.
A Parigi però non ce la voglio portare. Solo cose belle.
Davanti a una visione libera e incontaminata, le sussurro “ecco, questo è anche per te”. Non so a cosa serva, è dura cercare un senso, ma cerco di fare del mio meglio. È il mio modo per non dimenticare.
Alcuni posti dove l’ho portata
[Post rivisto nel: gennaio 2023]
Facebook : Lucy the Wombat
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