Dove vanno a finire tutte le cose che si perdono?
Anelli
Ho perso la fede. No, non la Fede – quella, ne sono certa, non mi abbandonerà mai (la Fede è quella in James Joyce, ovviamente). La fede: quella che si porta all’anulare, con incisi all’interno una data e il nome della persona amata. Quella che speravo mi sopravvivesse.
Ultimamente mi stava un po’ larga. Ieri, bricoleuse per un giorno, ho costruito il soppalco per i miei porcellini d’India; ho mescolato il fieno; ho pulito qua e là; quando infine mi sono lavata le mani, la fede non c’era più. A. dice che salterà fuori, io invece me la immagino prosaicamente finita giù, nel nero pozzo senza fondo degli scarti organici umani, traghettata dall’indulgente oblio dello sciacquone del wc. Avrei riso molto, se non fosse che invece ho pianto.
Rimandi
L’episodio mi ha ricordato quando ero appena scampata all’attentato a Parigi. Tre giorni dopo, l’anello che porto all’altra mano, un bell’anello con il brillante, un antico regalo di lui, era scomparso. All’epoca ero dimagrita molto in fretta e l’anello si sfilava facilmente; ho pensato che dovevo averlo perso al supermercato, riempiendo i sacchetti, tra una purée de fruits e un paquet apéro di qualcosa. A sorpresa, il dispiacere non arrivava. Speravo giusto che lo trovasse qualcuno che era povero, e che ne facesse buon uso. Ero ancora troppo sconvolta dall’Apocalisse, e incredula di avere ancora braccia e gambe senza fori di pallottole; non riuscivo a provare nessun’altra emozione, tanto meno per un cerchietto di metallo inanimato. Il quale, l’indomani, è ricomparso: se ne stava tranquillo in frigo, dentro al tagliere di aringhe che avevo preparato. Discuteva di Proust insieme alle cipolle.
Calopsitte
Qui a Melbourne, quello stesso anello con brillante piaceva tanto a Smoothie. Smoothie era il mio pappagallino, la mia calopsitta.
(Ho raccontato la sua storia d’amore nel post qui sotto)
Non era realmente di mia proprietà, anche perché abitava nella voliera di un giardino pubblico; ma gli uccellini scelgono le persone, e lui aveva scelto me, salutandomi sempre con gioia nonostante la mia inabilità alla vita.
Conservo una sua piuma giallina in un cassetto: gli si era staccata e lui me l’ha passata attraverso la rete della voliera, sapeva che la desideravo. Voleva a tutti i costi giocare con il mio brillante, combattendoci con il becco, e io ero un’umana fin troppo permissiva, tant’è vero che ancora oggi il mio brillante rimane incastonato per miracolo. Invece la mia fedele calopsitta, dopo due anni di amicizia e trillini, non c’è più.
Rimane un brillante, solitario e solo, senza fede sulla mano compagna, e senza calopsitta che ci giochi insieme.
Legami
Dopo essere rimasto vedovo l’anno scorso, Smoothie aveva trovato un’altra compagna: Spritz. Una bella e vanitosa pappagalletta di paese, anche lei con i suoi due pomellini rossi d’ufficio sulle guance; ma che al contrario della dolcissima femmina precedente faceva sempre la preziosa, preferendo sbecchettarsi le penne e sonnecchiare piuttosto che tubare insieme a lui.
Spritz non mi ha mai calcolata, nonostante avessi scoperto un suo debole per la musica classica che sfruttavo a mio vantaggio per farla avvicinare almeno un po’. Smoothie non deve mai aver capito perché questa nuova amica rimanesse così sulle sue; eppure non ha mai smesso di fischiettarle motivetti e di starle vicino, protettivo, senza mai perdere il buonumore. Ricordo ancora il giorno in cui me la presentò, dopo il periodo di lutto e solitudine: era così felice! Svolazzava senza sosta da me a lei, e da lei a me, per farci conoscere, fiero e di nuovo allegro. Nei momenti bui in cui credo di non aver imparato nulla a Melbourne, il pensiero del mio buon Smoothie e di tutte le piccole cose che mi ha insegnato mi bussano delicatamente alla porta.
Assenza
Ma ora Smoothie non c’è più, e io questo non l’ho capito davvero. Non sono triste, perché tutta quella sua gioia è ancora in me e non se ne andrà così facilmente. O forse perché l’Apocalisse mi ha lasciato in pegno una certa anestesia per le morti, dalle più grandi alle più piccole. Però osservo le reazioni altrui, e quelle fanno male.
Adesso Spritz, al mio arrivo, invece di rigirarsi e rimettersi a dormicchiare, fa il cinguettio di Smoothie, quel verso preciso che era solo di lui e solo in risposta a me – tant’è vero che la prima volta l’ho cercato invano. Si avvicina, agitata, trilla dubbiosa in risposta alle canzoni che escono dal mio smartphone; chiama, fa il verso di lui e non sa più che altro fare. Dunque aveva sempre capito tutto, studiando me e le nostre interazioni, solo che ne aveva fatto un suo segreto.
E poi c’è il mio umano, A., che si era affezionato tantissimo alla nostra calopsitta, e che ora quando ne parliamo si fa torvo, smarrito. Provate voi a vivere a sedicimila chilometri da ogni affetto e a perdere il vostro piccolo compagno locale, il migliore, quello che non vi giudica mai, che non vi impone KPI, a cui non interessa se quel giorno siete più o meno brillanti, che chiede solo amore e grattatine sulla testolina.
E ora io mi domando: dove vanno tutte le cose che si perdono? Gli anni contenuti negli anelli; le piume degli uccellini meno una; l’età dell’innocenza?
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