È un inverno pieno di sole questo della mia Melbourne pandemica.
Risplende nonostante avessi prenotato il volo per andare in Queensland a cercare i casuari sulla spiaggia ma nel frattempo stia arrivando la seconda – del tutto inattesa! – ondata di pandemia, che lo renderà impensabile.
Dalla finestra, i raggi di luce illuminano tutto e mi finiscono dritti negli occhi. I fiori sul tavolino non ne vogliono proprio sapere di appassire.
Ma vengo al punto, che mica siamo qua a far ballare la scimmia.
Ho scoperto il mio lavoro definitivo.
Il mestiere dei sogni: scrivere cose
A pensarci, era una cosa così ovvia, ma così ovvia, che altrettanto ovviamente non l’avevo mai considerata. Oppure sì, ma non avevo mai osato prendere in mano la situazione. Se ne sono dovuti occupare gli altri.
– “Vuoi scrivere degli articoli dietro compenso?”
Proviamo.
Risultato: buonumore, arcobaleni, motivetti sotto la doccia.
Va detto che, per motivi che non è il caso di specificare, non so quanto durerà, quindi mi godo ogni giorno come se fosse l’ultimo.
La consegna quotidiana suona così: “Questo è il tema di oggi, cerca tutto quel che c’è su internet e fallo meglio”.
Eseguo ardentemente, e mentre in me riecheggia il sussurro interiore di “bitch please” immagino che dovrei chiedere un aumento.
Però attenzione, cari miei voi che sapete chi sono, non cercatemi là fuori perché non mi trovereste.
I’m a ghost.
Scrivere senza nome, per scelta
Perché?
Perché chi rimaneggia i miei pezzi per metterli online, a quanto pare, non è provvisto del mio stesso amore e rispetto per i testi o per chi li leggerà.
Perché se ad esempio io scrivo “Come vedremo”, tu non mi puoi spostare il paragrafo in fondo e non provvedere a togliere il “Come vedremo”.
Perché io muoio malissimo.
Non puoi aggiungere errori che non c’erano e spezzarmi le frasi a caso.
Non puoi, scriteriato! Perché a me viene la pellagra.
Mi si staccano gli occhi, mi rotolano via sulla moquette e devo inseguirli per tutta la stanza per riacchiapparli e ripulirli dai pelucchi.
Forse pochi fanno ancora caso alla coerenza stilistica, ma io sì e in questi casi invecchio prima del tempo. Invecchio più veloce del cattivo nazistone di Indiana Jones che beveva dal falso Graal e diventava cenere prima di poter dire “Bah”.
Poi consegno io un refuso, uno solo su 6000 parole, e scoppia l’Apocalisse. In stampatello maiuscolo, sai mai che altrimenti il concetto non giunga a piene lettere sino in Australia. Mistero, e l’arte dello Zen.
Ma è una scuola utilissima che, finché dura, mi rende molto, molto felice. E mi insegna un sacco di cose.
Pensieri collaterali
Ringrazio di tutto cuore la multinazionale che mi ha licenziata causa coronavirus insieme a tanti altri impiegati olografici dicendo “Ci dispiace molto, ma dovresti raccogliere le tue cose e andartene”, altrimenti ciò non sarebbe mai accaduto.
Ogni giorno, mentre scrivo, mi viene da chiedermi perché alcuni cosiddetti nomadi digitali, quelli che finiscono a dare consigli sullo smart working dispensando ovvietà tipo la mirabolante tecnica del pomodoro, o insensatezze quali il vestirsi ugualmente di tutto punto (sei pazza? Posso starmene sul divano in tuta e dovrei cambiarmi?), non abbiano mai parlato dell’unico problema reale, e cioè che la mancanza di deambulazione rischia di portare a piaghe da decubito che neanche E.T. Ieri sono uscita per provare a camminare e sembravo Robocop. Dovrò ordinare una di quelle meravigliose diavolerie cinesi per fare la pressoterapia a casa.
I fantomatici ammaestramenti di Vulpis
Siccome siamo in tema, è anche tempo di introdurre su queste pagine un fido personaggio che frequento da anni nella vita di tutti i giorni, mio alter ego, la regina degli ammaestramenti: Vulpis.
Vulpis è una volpe virtuale di vago stampo esopico.
Nome completo: Vulpis I, come un Papa; immaginatela che arringa alle masse dal suo vulpito sopraelevato, indossando una lunga tonaca con ricamati a mano episodi esemplari tratti dalla sua Vita. La sua conoscenza mi sta tornando utilissima.
Vulpis è colei la cui ispirazione mi permette di risultare persuasiva anche parlando di, mettiamo, mia nonna morta come must have dell’estate 2021 da tenere accanto a sé sul lettino solare.
Vulpis predica benissimo, dispensa consigli e pillole di saggezza con scrupolo e generosità.
Non è che menta, eh, affatto. Ci crede davvero, ciecamente. Si appassiona pure! Il Cielo la benedica.
In che modo razzoli, però, meglio non dirlo.
Conclusione al miele
Concludo su una nota smodatamente smielata.
C’è una vecchia canzone degli Articolo 31 (compagni Millennial, ciao!) che elenca tutta una serie di cose successe, belle, brutte e medie, e di ciascuna dice:
“Fu per arrivare a te”.
Ora, io non mi sento certo arrivata (spero anzi che una tale condizione non esista, sarebbe tremendo), però almeno ora, grazie anche ai disagi di cui questo blog tiene traccia fedele, so cosa devo fare, cosa son buona a fare, cosa è perfettamente naturale che io faccia per tutto il resto dei miei giorni, per tutti i secoli dei secoli, amen.
Ho finito di sentirmi uno spreco, o anche solo di pensare che qua e là sono brava ma non del tutto al mio posto.
E su questo, persino la fantomatica Vulpis annuisce in silenzio, soddisfatta.
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