(e senza bisogno di panificare all’impazzata)
Disclaimer: se siete stati direttamente colpiti dal coronavirus, se lo sono stati i vostri cari, se siete a rischio di violenza domestica, se vivete in dieci in un bilocale o se vi sentite crociati anti-nichilismo, naturalmente questo post non è per voi. Piuttosto leggete quest’altro.
Prendete uno con un disturbo, ad esempio la depressione. Ditegli che, per via di un virus salterino e birbantello, da un giorno all’altro non deve più uscire, andare al lavoro, parlare con la gente. Stasi totale a tempo non troppo determinato. Come starà uno con la depressione?
Ve lo dico io: benissimo.
Un burro.
Coincidere con se stessi
Il mondo a mia immagine e somiglianza, il mio pianeta violaceo che detta la mia orbita, si è allineato ai miei desideri, e finalmente respiro. Inspiro. Espiro. Nel frattempo non succede nulla. Nulla di nulla. L’estasi.
Non produrre, non consumare. Non mischiarsi. Sottrarsi. Non incontrare aspettative. Non affrettarsi. Sul mio pianeta viviamo io, l’umano che amo, un wombat immaginario e due caviette molto reali da coccolare, che chiedono spighe di fieno e popcornano. Se dal divano faccio partire un video, nel sentire la voce estranea fanno “prrrr”, infastidite. Schiava, mi metto le cuffie. Gli uccelli là fuori si fanno delle gran chiacchierate. Socchiudo gli occhi e sono in un giardino fiorito.
Aria
Dal balcone mi investe una folata di aria pulita, di passato generoso, di indulgenza. Mi inebria e mi dà alla testa. Sento solo l’aria ma non vedo il luogo: dove vivo, again? Oblio gentile. Non devo neanche chiudere gli occhi per pensarmi non più in un angolo remoto a testa in giù, ma lì con voi, a due isolati di distanza. Mi mancate di meno.
Scrivo, disegno, studio, imparo cose. Davvero vi annoiate, in spregio a internet? Lo sapete che ci sono più connessioni neuronali nel vostro cervello che atomi nell’universo? Ah già, è un’enfasi, ma un’enfasi non è una scusa.
Il mondo prende fiato, si spurga, espunge. La filosofia e la letteratura osservano zelanti e prendono appunti. Cosa si inventeranno? E la poesia? La pandemia più bella sarà in versi? Dove? Quando? Saremo ancora vivi?
Spettatori
New York butta i suoi morti in fosse comuni. Embè? Tanto sono morti. Il problema era prima. Quando sarà il momento, se mi mettete in una cassa semplice semplice accanto ad altri, giuro che non mi offendo.
Da tutta la vita noi millennial eravamo preparati a un evento del genere. Sopravivvevamo in perenne bilico tra scimmiottare l’indolenza o aderirvi, in attesa di una catastrofe in cui provare finalmente di valere qualcosa (che fa molto mal du siècle dei giovani napoleonici, già), in cui dimostrare che stringere i denti avesse un senso compiuto. Poi il patatrac è arrivato, e noi non solo siamo stati chiamati giusto alla grande impresa di starcene in poltrona, ma ci tocca pure lo zio che crede al complotto sul 5G. Forse la pandemia non è abbastanza?
Vorrei solo non doverne leggere ovunque come di un “evento traumatico“. Vi siete ribaltati in macchina? Evento traumatico. Vi hanno aggrediti? Evento traumatico. Dovete restare a casa in un contesto privo di bombe che piovono sui tetti? Non evento traumatico; opportunità. La resilienza, invece di invocarla, incarnatela, e state zitti. Aiutate come potete.
Keep calm and distanziamento asociale
Di rado mi avventuro fuori dalla tana per procacciarmi il cibo. Mi ricordo di avere un corpo fatto per muoversi e faccio piroette nelle corsie del supermercato. Unica, o quasi, con la mascherina, e che tiene le distanze: bravi, continuate così, fatemi sognare. Che forse domani devo tornare a lavoro (ringraziando pure), col favore delle tenebre.
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