Il Parco Nazionale delle grotte di Naracoorte, nell’Australia Meridionale, è un luogo prezioso e affascinante, ricco di conoscenza, di creature e di risoluzione di misteri.
(Aggiornato il: 23 luglio 2020)
Premessa – Perché amo visitare le grotte
Quando non si sente troppo per la quale, Lucy (il mio vombato) sbuffa, fa dietrofront e se ne torna alla sua tana sotterranea. Così anche il mio umore: ogni tanto mi chiede di farsi un giretto giù, six feet under, dove acconsento ad accompagnarlo. Gli slaccio il guinzaglio e lo lascio vagabondare un po’ nel sottosuolo.
Potrei aver sviluppato una sorta di sindrome, forse una Stoccolma malriuscita, nei confronti di ciò che sta là sotto. Dicono che sia uno degli effetti del mio stress post-traumatico, e va bene così. Perché da quando ho trascorso quasi-tre-ore in una strana nicchia buia durante quel famoso attentato, potendo contare solo su orecchie, polpastrelli e naso per sopravvivere, è successo qualcosa. La nicchia buia, invece che una tomba, si è rivelata per me una placenta, che mi ha protetta e restituita al mondo dei vivi. E da allora, più o meno paradossalmente, non perdo occasione per ricercarla, questa nicchia uterina. Ovunque si possa scendere, ovunque ci sia uno spazio privo di luce naturale, angusto e polveroso, io ci entro ed è come tornare a casa. Mi placa. Mi faccio avviluppare ed incubare un po’, e rinasco più serena.
È stato così già a Parigi, quando giravo per le Catacombe in cerca di un brivido ma senza riuscire a sentire alcunché perché ancora troppo in shock; e poi in giro per l’Europa, dove ho visitato miniere scavate da uomini ben più disagiati di me e ascoltato detonazioni nell’oscurità cercando analogie, tentando di abbracciare mentalmente la quantità di millenni che avevano dato forma alle stalagtiti.
Mi chiedevo se per dimenticare certe visioni di morte ci avrei messo lo stesso tempo.
E ogni volta, quando tornavo alla luce, avevo lasciato lì un pochino del mio trauma, come il calcare che rimane attaccato alla pietra mentre l’acqua ormai scorre via.
Il Parco Nazionale delle grotte di Naracoorte
Per dar seguito a questa mia bizzarra autoterapia, anche in Australia sono andata a scovare un posto del genere, ovviamente dalle dimensioni indigene, cioè mastodontiche. Un luogo che contiene molte cose, misteriose e familiari; e forse anche qualche mostro, come vogliono tradizione e traumatologia.
In tutto il continente australiano, i siti dichiarati World Heritage dall’UNESCO sono 19 (è una miseria di numero, almeno approfittiamone!), e le Grotte di Naracoorte sono uno di essi. Ventotto grotte che sprofondano nel South Australia, dove tante ignare e voluminose bestie hanno lasciato un po’ di se stesse da 500.000 anni a questa parte; anche se a differenza di me, poverette, non se lo sono andate a cercare a mo’ di vezzo curativo, né sono potute tornare a casa.
In pratica, succedeva la stessa cosa di oggigiorno a Roma: gli animali scorrazzavano tranquilli, non vedevano le buche nel terreno e ci cascavano dentro con un bel tonfo, e finiva così.
Perciò si è scoperto che, per saperne di più su un certo sottosuolo evoluzionistico, da qualche decennio conviene scavare a Naracoorte. Ad oggi vi sono stati trovati fossili di circa centotrenta specie animali, e la mappatura dell’evoluzione è tale anche grazie a questo sito stracolmo di quiete e minerali.
Diverse opzioni di tour guidati conducono i visitatori alla natura preistorica del luogo.
Faccio dunque conoscenza con la megafauna locale estinta, ossia animali di dimensioni titaniche rispetto ai loro discendenti di oggi. Più di metà delle creature rinvenute e “ricostruite” dai paleontologi risultano essere megafauna.
Creature reali e leggendarie
C’era il famoso Canguro Gigante (alto anche tre metri, tanto quanto certi uccellacci suoi contemporanei, praticamente pterodattili); il leone marsupiale, il più grosso marsupiale carnivoro mai esistito (160 chili di divoratore di bistecche); e pure un wombat gigante (al che, Lucy è corsa a nascondersi).
Molte di queste bestie assomigliavano in modo molto sospetto a quelle del sistema di credenze mitologico-religiose aborigene. Ad esempio si pensa che il wombat gigante corrispondesse al mostro acquatico Bunyip, un tempo temutissimo, avvistato qua e là alla maniera del mostro di Lochness (il quale almeno sguazzava solo in quel lago lì, mentre Bunyip se ne andava in giro in lungo e in largo). Però, nella cultura moderna, il Bunyip si è iniziato a considerarlo come assai tenerino, e oggi nessuno lo teme più, anzi qualche blogger in erba lo definirebbe puccioso. Altro segno dei tempi che cambiano. I primi esploratori australiani “moderni”, comunque, non lo trovarono mai, e da allora “cercare il bunyip” è un po’ come cercare il sesso degli angeli.
Pipistrelli che abitano a Naracoorte
Ma torniamo all’oggi nelle grotte di Naracoorte. Sin dai tempi della megafauna, esiste una specie di pipistrello oggi classificato come a rischio di estinzione che da qui non ha ancora traslocato (per quanto ne siano rimasti pochi esemplari). Si tratta del piccolo Southern bent-winged bat, o pipistrello del Sud dall’ala piegata.
Questi animaletti se ne stanno nella loro grotta, vicini vicini, e a noi è permesso vederli solo attraverso un monitor collegato a videocamere a infrarossi per non disturbarli, a meno che non ci si apposti fuori dalla bat-caverna al tramonto o all’alba e non li si osservi dal vivo uscire a fare la spesa per cena e poi rincasare (fuoriescono molto tranquillamente, in maniera più scaglionata di come vorrebbe l’immaginario cinematografico dark).
Scopro che non è vero che i pipistrelli sono ciechi, anche se sì, per orientarsi la ecolocazione la usano eccome; che stanno appesi a testa in giù perché se stessero nell’altro senso non riuscirebbero più ad involarsi, come una tartaruga girata sul dorso; e che un po’ come alle isole Samoa del mito, i piccoli vengono cresciuti collettivamente, perché le mamme non ci vedono granché bene e allora nutrono il primo cucciolo che capita loro sotto l’ala. E poiché tutte fanno così, non rimane nessun cucciolo affamato, e va bene uguale (chissà cosa ne direbbero le mamme pancine!).
Nel dubbio, meglio non entrare nella caverna ma lasciarlo fare agli studiosi, anche perché si affonda letteralmente nel guano di pipistrello. Il minimo, viste le sorprese che possono riservare le nicchie buie!
Un Parco Nazionale dalle tante possibilità
Insomma, si possono fare e imparare tante cose a Naracoorte, inclusi il cave crawling (strisciare negli anfratti più angusti, naturalmente dopo un training e accompagnati da una guida) e l’esplorazione di alcune grotte in 4WD, oppure perdersi nel bush che circonda la zona in una delle camminate (bushwalking) più eloquenti e primordiali che mi sia mai capitato di fare in Australia. Ma soprattutto, nelle profondità di Naracoorte è più facile trovare un po’ di pace mentale, quella buona.
Alla prossima, di nuovo alla luce del sole! 🙂
Per organizzare la visita alle grotte di Naracoorte: link qui. Dopo aver acquistato i biglietti all’ingresso del sito, si raggiungono le varie grotte con la propria auto, tutte ad alcuni minuti l’una dall’altra. Tenetelo presente se prenotate uno o più tour guidati di gruppo.
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