Antefatto dell’epoca che fu
Quand’ero ragazzina, per qualche anno ho partecipato alla strabiliante esperienza inflitta della colonia dell’oratorio. Ci si recludeva in montagna per giorni, e se ne veniva tratti in salvo solo dopo estenuanti e rischiose inerpicate verso l’Altissimo, preghiere in coro e in rima, insapori pranzi al sacco conditi con canzoni dei Nomadi storpiate alla chitarra; e per finire, innamoramenti monolaterali dove la somma speranza era quella di riuscire a sedersi vicino al lui di turno, a messa, per potergli stringere la mano scambiandosi un segno di pace. Una favola.
La magione in cui si alloggiava l’ultimo anno, prima della tanto attesa autodeterminazione, aveva un nome solenne e illuminante: la Baita Speraindio. Scritto proprio tutto attaccato.
La Baita Spera-in-Dio è rimasta nei miei ricordi, e nelle cronache collettive, per essere stata il luogo più sfigato di tutti gli anni Novanta. A furia di sperare, ogni giorno qualcuno si infortunava, veniva recuperato dai genitori e tornava con sollievo alla civiltà, non senza incubi ricorrenti fino alla fine del decennio.
Presso la Baita Spera-in-Dio, alla fine della settimana di ritiro, il bollettino dei feriti includeva:
- due gambe rotte
- tre braccia rotte
- svariate articolazioni slogate
- tagli da oggetti contundenti
- febbri da cavallo con deliri
- un paio di risse con feriti
- due avvelenamenti da cibo
- la più sfigata fu una ragazzina che cadde dal letto a castello e si ruppe tutti i denti davanti. Ricordo solo di essermi svegliata in piena notte per le grida, di aver intravisto questa urlante maschera di sangue e di essermi riaddormentata, perché la mia compagna mi sussurrò “niente, dormi” e io, che credevo docilmente a quanto mi si diceva, dormii, che manco con il Mago Silvan. Denti rifatti a tredici anni. Gloria.
Ho accennato a quell’epoca innocente per chiarire come si sia formato il mio sospetto che intitolarsi al Signore non renda poi così immuni dalle disgrazie come si vorrebbe.
Fatto dell’epoca che è
Il più recente esempio di questa prudente supposizione è rappresentato da Christchurch, cittadina neozelandese intitolata alla chiesa del Cristo, di cui da ieri si parla molto per ovvi e ultraviolenti motivi, sebbene naturalmente sarebbe stato meglio un bel classico e silente no news, good news.
Christchurch, terza città della Nuova Zelanda (che da dove scrivo, è come dire dietro l’angolo), interessante località che intreccia l’eredità britannica, le origini Maori, un presente multiculturale e le bellezze naturali del territorio circostante, inclusi i tentativi di connessione con l’Antartide, in tempi non troppo lontani è già stata destinataria di un significativo carico di sfiga (mandato dall’alto o dal basso, a seconda delle vostre credenze).
- Nel 2010, un terremoto di magnitudo 7.1 ha danneggiato fortemente le abitazioni e gli edifici storici della città.
- Nel 2011, una nuova scossa ha ucciso 181 persone e ne ha lasciate tantissime altre senza casa; pochi mesi dopo, altre scosse, altre decine di feriti e grossi danni ulteriori.
Non essendo io ancora mai stata in Nuova Zelanda, quelle che vedete qui sono le fotografie di A., che ci è passato poco tempo fa e che mi ha raccontato sorpreso di un posto dalla ricostruzione lentissima, che ancora soffre di una distruzione le cui tracce aleggiano un po’ dappertutto.
Certe immagini mi hanno ricordato un po’ alcune cittadine abruzzesi che invece ho visto con i miei occhi, insomma uno di quei bei posti che non hanno certo bisogno di ulteriori accanimenti della sorte. Immaginiamo se ci fosse un attentato gravissimo nella bella L’Aquila già sofferente: non sarebbe proprio l’ideale.
Pensieri sparsi sull’attentato
Le mie considerazioni sull’attentato di Christchurch sono abbastanza succinte:
- Come sempre, chiunque condivida, o anche solo visualizzi privatamente, le immagini in soggettiva dell’attacco circolate su internet contribuisce a rendere questo mondo un posto peggiore. Senza se e senza ma.
- Jacinda Ardern, la prima ministra neozelandese (nonché la donna più giovane al mondo a capo di un Governo), ha dichiarato che ora la legislazione sul possesso di armi cambierà (l’autore principale di questo attentato, un australiano, aveva con sé cinque fucili di cui due semi-automatici, e una licenza). Sarebbero dovute cambiare già nel 2005 e poi ancora nel 2012 e nel 2017; ovviamente ci sono voluti 50 morti più le persone ferite, a lutto e traumatizzate per smuovere le acque, ma ora voglio solo sentire che le leggi cambieranno. Subito.
- Un attentato del genere, sempre più parte dell’orizzonte di questo inizio di millennio, è a tutti gli effetti un atto di guerra (almeno, in Francia le leggi lo definiscono così, presumo che valga per tutto il mondo civilizzato). Ma è rivolto a civili, psicologicamente non attrezzati per subirlo, e non a soldati. Sui giornali i fatti evaporano in pochi giorni, ma vissuti sulla propria pelle creano conseguenze psico-fisiche a lungo termine delle quali a certi livelli della società, ad esempio quello medico, occorre che si tenga conto ben più di quanto avviene oggi. // (Esempio. Una persona si presenta in un centro medico, tutta agitata e in lacrime. Spiega che un elemento dell’ambiente, cosa molto rara ormai, ha appena fatto scattare il suo dormiente PTSD, di cui soffre da quando è stata esposta a un mass shooting per circa tre ore. Chiede un tranquillante per ripristinare le proprie abilità cognitive e tirare fino a fine giornata. Il medico, distratto, le chiede come dorma la notte, le prescrive della melatonina da prendere la sera e la liquida così, senza neanche averla presa sul serio. Indovinate un po’ a chi è successo).
- Io mica l’ho capito perché ogni tanto qualcuno sbrocca e uccide gli altri a caso. Cioè, avranno pure scritto dei trattati ideologici, ma io non è che l’abbia proprio capito davvero.
- Tutto evolve: le leggi, la ricerca scientifica, le misure preventive, persino il Norton Antivirus. Ma il Signore? Dov’è? Che dice? Cosa implementa per la sicurezza delle sue creature?
Lascia un commento