Un confronto tra le mie prime due esperienze di glamping in Australia. Entrambe uniche, ma una delle due più furba!
Premessa. What’s in a name?
“Cosa c’è in un nome? Una rosa se anche la chiamassimo con un altro nome conserverebbe il suo dolce profumo” 🌹 (Shakespeare)
Quanto sopra vale per la rosa, ma non per il glamping. Ma partiamo dalle basi!
Cos’è il glamping, in Australia e non solo?
Lo sciccoso neologismo, diffusosi negli ultimi anni a beneficio degli amanti dei trattamenti VIP non dotati dei mezzi reali per meritarli (o per riceverli comunque, anche immeritevolmente), fonde insieme gli universi “Glamour” e “Camping”.
Il glamping è dunque un campeggio la cui qualità, diversamente dal solito, tende al lusso. Tenda o caravan saranno equipaggiati di tutti i comfort, ampi e spaziosi. Si avrà l’illusione di essere dei pascià, senza privarsi delle gioie della completa, autentica povertà immersione nella natura.
Perché mi attirava questa formula? Da amante di tutte le attività ludiche, posso essere felicissima sia nei campeggi spartani sia negli hotel di alta gamma, in quanto entrambi assomigliano a grossi giocattoloni da scartare. Logicamente, l’idea di una loro crasi mi sembrava il massimo della vita… E allora sono andata in glamping!
Vi racconto brevemente, soprattutto per il bisogno di accludere un paio di sentite raccomandazioni, le mie due esperienze avute finora qui in Australia, entrambe in primavera.
Glamping in Australia #1
Dove: Nel villaggio di Scamander, Tasmania, in posizione tattica vicino al parco faunistico di Bicheno.
Cosa/Come: Una prima volta in grande stile. La tenda è megagalattica, da sultani! Ancora più bella della tenda collettiva di Amsterdam dove andai da giovincella, giacqui per un weekend sui suoi scomposti divani giocando al Mastermind, e litigai esagitata per ore per farne rispettare le regole a chi non le aveva nemmeno mai imparate.
Ormai per me, adesso che ho un decennio in più sulle spalle, l’esperienza esotica ha acquisito i contorni di un lettone con lenzuola candide e scaldini elettrici, soffici e profumatissimi asciugamani, TV, frigobar e gettoni per la doccia in dotazione (sempre un campeggio è!). Non male!
Fuori dalla tenda si trovano: pedana con angolo relax, copertine in pile e stufa a legna (solo per gli abili abbastanza da saper adoperare il diabolico acciarino, quindi non per me), per abbandonarsi goduriosamente alla nullafacenza.
Tutto molto bello finché non cala il tramonto… Chi già conosce il pungente freddo tasmaniano capirà. La stufetta elettrica interna fa un baccano infernale: filosofeggia tra sé e sé, fornisce basi per il karaoke, probabilmente sa anche far di conto, ma in nessun caso compie il suo dovere di riscaldare, quella screanzata.
Mi sento tradita dal sistema, e mentre il sangue mi rallenta nelle vene per il gelo, nonostante i tanti strati addosso che mi fanno assomigliare a Neil Armstrong, il mio pensiero va alla regina Maria Antonietta: la immagino sbigottita in quel momento di precario equilibrio tra il consigliare ingenuamente il consumo di brioches e la consapevolezza che la propria fine sia molto vicina.
Il consiglio
La raccomandazione: In un contesto del genere, solo del vino può salvarvi la vita. Sceglietevelo buono, e per tempo, che i negozietti chiudono prestissimo. Oltre che a evitare l’ibernazione, vi aiuterà a divertirvi in vari modi, compreso il brandire il proprio nuovissimo diavoletto della Tasmania di peluche schiacciando a più riprese su “Premi Qui” per farlo ruggire nel buio silenzioso, spaventando i cinesi della tenda accanto. Impagabile.
L’indomani sarà un piacere ricordarsi di essere animali a sangue caldo e gioire dell’accesso diretto a posti come questi:
Voto: 7. Un alloggio da sogno, utile anche a sperimentare su di sé la propriocezione dei rettili.
Glamping in Australia #2
Dove: All’imbocco del Wilsons Promontory, Victoria (un posto spet-ta-co-la-re dal quale sono appena tornata, e del quale mi farò la sponsor volontaria più incallita).
Cosa/Come: Seguendo le indicazioni della coppia di proprietari, io e la mia dolce metà arriviamo in questo autoproclamato glamping sistemato lungo una stradina terziaria di una tranquilla zona di colline e pascoli. Veniamo accolti da galline (“Happy girls!”, dice la signora, che poi ci servirà le loro uova per colazione, facendocele pagare profumatamente), da uccelletti canterini e da Shadow, il cane nero che veglia sugli ospiti.
Qui mi torna il mente il what’s in a name?… Scesa dalla macchina cerco il glamping senza trovarlo, solo per finire con l’ammirare amaramente l’astuzia più vecchia dell’advertising attira-clienti (tipo quando a Parigi prenotai uno studiò artistico d’epoca e finì che me ne andai perché c’erano i topi): il chiamalo-come-ti-pare-qualcuno-ci-cascherà.
Ciò che sulla carta si definisce glamping si rivela infatti una parvenza di campeggio composta da: un caravan (nel senso che ce n’è solo uno, in tutto) poco distante dalla magione padronale, vecchiotto e odorante di stantio. Ovviamente non riscaldato; in compenso troviamo un simpatico ventilatore, utile quanto una zappa in nave.
La doccia è da farsi in una cabina di lamiere che sorge in mezzo al prato, e dalla quale ci si può sporgere con la testa direttamente fuori sul giardino. Al freddo.
Al posto di un lussuoso bagno, ci sorride uno di quei cubicoli ecocompatibili con le scaglie di legname da gettare dentro la Terra di Mordor al posto di tirare l’inesistente sciacquone. Questo per i bisogni grossi; la pipì invece, c’è scritto, è consigliato farla tra gli alberi, per “mantenerli vivi, e far sapere alle volpi che ci siamo noi e non mettere a rischio le galline” (sic). Okay.
(Donne: questo è il momento perfetto per sfoderare la propria preziosa scorta di “colibrì”! Sapete tutte cosa sono, giusto?).
Un fascino bestiale
La notte, wallaby e vombati si aggirano perlustrando l’esterno della roulotte, per conoscere i nostri nuovi odori. Forse fiutano la presenza della mia Lucy e vogliono capire, il che per la verità mi rallegra. È bellissimo sentirli, pur senza vederli.
Nella scomodità generica facciamo anche un’esperienza sognata da tanto: nel buio, giunge fin dentro al caravan il mitico grugnito di un koala maschio, in vena di avvertimenti al vicinato dall’alto del suo albero poco lontano. (Ma ora mi viene in dubbio che potesse trattarsi di qualche cinese con un koala di peluche parlante, per ripagarci con la stessa moneta).
Tutto sommato, per il test glamping in Australia, nemmeno questo è poi così male.
E poi devo essere sincera: per chi come me è tutt’altro che mattiniero e fatica ogni giorno a svegliarsi, niente, niente, niente rende più operativi di una doccia calda con il venticello fresco dritto sul viso, e la vista del va e vieni mattutino degli uccelli. Ora che è già finito rivoglio tutto questo, fortissimamente.
Il consiglio
La raccomandazione: Cosa ho imparato a mie spese? Che facciate camping o glamping, in Australia non lasciate mai aperte le portiere della macchina, neanche per venti secondi superflui… Non si sa mai cosa potrebbe entrarci! Da noi si è accomodato un corposo ragnone beige che non voleva saperne di scendere, forse anche lui stufo del glamping tarocco. E poiché qui sul blog avevo precedentemente elogiato la perfezione dei ragni, non potevo rimangiarmi tutto, ma mi è parso di dover ostentare stoicismo, con un’alzata di spalle e nella testa il motto in accento locale: “‘Straya!” (= È l’Australia, facciamocene una ragione). Come risolvere?
L’episodio illustra più di mille parole la superiore fattura degli australiani in fatto di gestione delle bestie. Il padrone chiede di descrivergli l’intruso, al che ci guarda come se fossimo due teneri cuccioli e scompare un attimo. Ritorna non con l’auspicato spray killer, bensì con torcia, specchio (immaginate lo specchietto del dentista, grande il quadruplo) e barattolo con coperchio, per riporre l’innocuo (?!) animale una volta recuperato.
Intanto, un beffardo kookaburra si gusta la scena appollaiato sul prato poco lontano, con l’aria di divertirsi parecchio.
Il ragno comunque rifiuta ostinatamente di farsi delocalizzare, tanto da costringerci a continuare a tenerlo come passeggero per il resto del viaggio, in una prova di saldezza di nervi. Per fortuna riusciamo a tornare sani e salvi all’autonoleggio, dove non segnaliamo nulla; e così, con questa omertà, si conclude il secondo glamping.
Voto: 7. Perché in fondo mi sono scoperta ancora la stessa di quando ero una bambina di città, in campeggio, tutta felice del fatto che i miei mi mandassero ai lavatoi a sciacquare l’insalata: perché era un compito importante, e mi sembrava che si fosse tutti quanti dentro a un gioco. E perché nonostante tutto, in questi pochi giorni sono stata benissimo.
Vi ho convinti ad andare in glamping? O ci siete già stati? Only the brave! 😀
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Grazie e buona lettura! 🙂
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