Vivere Berlino è un dirompente what if, come per ogni storia d’amore che si rispetti. Spesso mi chiedo quanti altri posti al mondo avrei potuto visitare, se non avessi scelto per una ventina di volte (diciannove, mi dicono dalla regia) di venirci a passare del tempo, sempre qui, sempre più a lungo; e ogni volta so che non cambierei una virgola.
Berlino si ripete e si rinnova, prima per caso, poi per convenienza, dopo per godimento, e ormai per urgenza.
Ma come si fa a rendere conto di un amore? Proverò.
Vivere Berlino: segreti e magie
A Berlino ho imparato la Storia e ho determinato la mia. Non nell’euforia tragica e appassionata di Parigi, ma con la tenace, calma consapevolezza che è sempre una mossa virtuosa e sicura, e che le persone vengono prima dei luoghi ma anche insieme ad essi. A Berlino ci sono cose e creature, una miriade che sfavilla all’ombra.
Una sera a Berlino ho incontrato una lepre in centro città. Ci siamo fissate a lungo, io immobile, lei muovendo le orecchie con qualche significato che non ho saputo cogliere. È saltellata via mentre ritrovavo la fiducia smarrita.
A Berlino ho imparato a (ri)prendermi cura del mio corpo, a correre accanto ai dromedari e tra gli scoiattoli. O a rincasare in bici al tramonto costeggiando i binari della S-Bahn lungo il fiume. E a fare il bagno nel lago in mutande, tra aghi di pino e cigni guardinghi, a uscire dall’acqua e a rimettermi a pedalare verso il bosco.
Nella mia Berlino sono riuscita a conciliare lo scrivere una tesi con amore di giorno, e l’assecondare i miei gusti musicali con estasi e abbandono di notte, senza mai esaurire certe insospettate riserve d’energia. A Berlino ho visitato gli studi dove registrava David Bowie, e ho ascoltato Black Celebration a tutto volume nella stessa sala dove fu incisa, con gli occhi sbarrati di emozione.
Nella capitale tedesca posso ridere non solo del degrado postsovietico, ma anche di quello sovietico.
A Berlino so già che lavoro farò. A Berlino tutto quello che sono e che ho fatto acquista non solo un senso, ma forse anche un valore.
A Berlino divento un po’ presuntuosa, come sempre quando si parla dell’amore. Che è uguale per tutti, eppure a ognuno il proprio sembra sempre un po’ più unico e speciale.
Vivere Berlino tramite le parole
A Berlino le prime volte non ci capivo niente, e allora ci sono tornata per imparare il tedesco. Non perché dovevo o per qualcosa, ma così, perché volevo e potevo.
A Berlino ho incontrato parole stupefacenti, come Eichhörnchen (il cornetto della quercia, e cioè: lo scoiattolo), Schildkröte (il rospo con lo scudo, e cioè: la tartaruga), Eiweiß (il bianco dell’uovo, e cioè: la proteina); Dunkelheit, Kräutersoße… Ma la mia parola tedesca preferita è Baulücke.
Vivere Berlino dalle Baulücken
La Baulücke è il luogo più magico che ci sia, è poesia urbana silente che sta lì per tutti. Ognuno può trovare la propria, quella che sotto sotto è più sua che di chiunque altro.
Baulücke indica quello spazio tra due edifici in cui ci si aspetterebbe che troneggi anche lì un palazzo e invece no, c’è un buco, perché da decenni non ci hanno ancora ricostruito. E allora lì sonnecchiano altalene, panchine, sabbia da gioco, piante, bestie, copertoni e divani abbandonati. Nelle Baulücken migliori, poi, non c’è proprio niente.
Ci sei solo tu nella notte, nel ronzio dei ciclisti che tornano a casa e di un’auto sparuta che scorre via in lontananza. C’è la torre della TV che ti indica attraverso l’etere che andrà tutto bene, se ti fidi di lei. C’è un tappeto elastico mezzo sfondato per saltare nel buio e ridere senza far rumore. E c’è una poltrona sfoderata dove sedere in due e sognare la casa che un domani sorgerà proprio in quel punto, dove abiterete in cinque, tu, lui, la gatta e i pappagallini.
Incontri speciali
A Berlino c’è un ariete nero che specula ed elucubra, e che quando nello stesso recinto hanno introdotto altre due pecore nere più giovani se l’è presa a morte. Da allora si tiene ben lontano da loro e le guarda male, con la chiara espressione di “Qualcuno me le levi di torno, o comporrò il prossimo Zibaldone”.
A Berlino, un bel giorno, una sconosciuta mi ha vista triste e mi ha regalato un’anitra della fortuna; quel giorno sono tornata a casa e mi è piovuto addosso un colpo di fortuna così sfacciato che pensavo fosse uno scherzo di cattivo gusto (ossia “quella volta che mi assegnarono un premio in danaro a mia insaputa”).
A Berlino nessuno mi ha mai fatto del male, nessuno ci ha mai nemmeno provato.
Berlino, ancora un sogno
A Berlino mi tramuto in una versione migliore di me stessa. Mi sento esattamente la persona che vorrei essere, pur con tutti i miei limiti e le mie imperfezioni, che non contano più. Mi guardo dentro e fuori e so: è qui.
A Berlino vedo il mio amore sorridere più felice; sia io che lui sappiamo che nonostante si possa essere felici insieme in tanti posti, qui lo siamo sempre un po’ di più. E che è tempo di fare qualcosa al riguardo.
Come per ogni grande amore, sono convinta che niente di scritto renderà mai giustizia a Berlino. (Tranne Berlin, Alexanderplatz di Döblin, quello sì, quello è immenso). E forse è giusto così, a Berlino predomina la vita, l’essere giorno per giorno, per la scrittura ci sarà tempo. A Berlino ora non solo sogno, ma proprio so che ci abiterò, e sarà per sempre.
Oggi ho visitato il mio futuro quartiere e istintivamente ho saputo: è qui.
[Post aggiornato il: 28/07/20]
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