Riferirsi a “l’animale più felice del mondo” è un azzardo, lo so. Eppure, con la storia del quokka non vi stupirete più di niente.
Premessa: come funziona la felicità
Anche Lucy, il mio vombato, concorda: questa cosa della felicità attribuita ad altri, con la stessa arbitrarietà del lancio di una manciata di coriandoli, deve finire, o almeno ridimensionarsi.
Uno è lì che campa più o meno tranquillo, tira avanti da buon cristiano, finché un bel giorno qualcun altro salta su esclamando “Ma guardatelo, quello lì, sembra farsi i fatti suoi e invece è felice, che cosa fuori dal comune! Facciamone un simbolo!”, e per il soggetto in questione inizia lo stress. Lo tirano in ballo ovunque, gli affibbiano pure un hashtag sui social.
Prima del quokka ci fu Sisifo
Prendiamo Sisifo: sin dall’antichità, il giovanotto vive rassegnato e abitudinario nell’atto di scalare la montagna con il suo masso in spalla, imprecando contro la permalosità di Zeus, per poi ridiscendere appena arrivato in cima all’inseguimento del suddetto masso, prontamente rotolato a valle per la miliardesima volta.
Così all’infinito, tutto si ripete alla faccia del Panta Rei, e nessuno ha niente da ridire tranne il poveraccio stesso, che non smette di tirar giù tutti i santi i quali però prontamente ritornano su.
Ma un bel giorno compare Albert Camus, che tra un assedio e un’epidemia di peste, decreta: “No, voialtri non avete capito niente, Sisifo è la felicità in persona! Non è colpa sua se lo disegnano così, rantolante, ma noi dobbiamo immaginarcelo con lo smiley nel cuore, conviene!” (e aggiunge in calce: “Anche perché altrimenti rischiamo di suicidarci tutti per il male di vivere, e non è il caso”).
E cosa succede? La gente, dopo un attimo di perplessità, inizia a crederci e a rallegrarsi, sollevata. Anch’io ero tra quelli, e tra i più convinti, per diversi anni. Mi sembrava un ragionamento inoppugnabile, anche se Sisifo, di suo, non si esprimeva. Poi beh, mi hanno sparato addosso, e adesso mi tocca ridiscendere a cercare il mio masso e valutare daccapo la situazione; però, a lungo, il pensiero della felicità di Sisifo era proprio una certezza confortante, cristallina, salvifica.
Ma cosa c’entra il quokka?
L’animale più felice del mondo
Da un po’ di anni a questa parte, anche il quokka è protagonista di una rinarrazione (nata dal basso e collettivamente, stavolta) in grado di instillare nell’ascoltatore ottimismo e fiducia; il terzo millennio ha fatto il resto.
La prima persona a parlarmi di lui fu la mia amica C. (la stessa saggia persona che per prima identificò il mio disturbo cronico giovanile), con un accenno divertito a “l’animale più felice del mondo” che avrei incontrato venendo a vivere in Australia. Ne fui subito incuriosita.
La storia del quokka è molto semplice: se ne stava da sempre appartato e pacifico, docile e selvatico, nel suo ruolo di piccolo marsupiale australiano dal corpicino a metà tra quelli di un piccolo wallaby e di un grosso topo, capace non solo di saltellare ma anche di arrampicarsi sugli alberi (alla stessa maniera del canguro arboricolo). Scorrazzava in un’area piuttosto circoscritta ma confortevole dell’Australia occidentale, in cerca di fogliame e piante grasse da mangiucchiare e di una distanza accettabile da porre tra sé e i suoi predatori – quasi esclusivamente dingo e volpi. Insomma, si occupava dei suoi affari senza dar fastidio a nessuno.
I turisti scoprono dove vive il quokka
Poi però è stato raggiunto da una grave patologia: la gente. In particolare dai turisti, in cerca di un po’ di oblio delle proprie magagne.
I primi coloni europei prendevano ancora la bestiola per ciò che era, un innocuo topolone, tanto da ribattezzare l’isola a maggior concentrazione di quokka come Rottnest Island – dall’olandese per “Nido di ratti” – e smettere di curarsene.
Solo che dopo un po’ sono comparsi gli smartphone. E si è notato che il quokka, nei selfie, viene benissimo. Meglio di chiunque altro, umano o animale. Non è che si sforzi, ha proprio quella faccia lì di default, un’espressione genuinamente benevola e incuriosita, da ammaliare anche il peggiore dei misantropi facendogli credere che finalmente ci sia al mondo una creatura in grado di amarli.
E tutti a esclamare all’unisono: “Il quokka!! Com’è felice!!! Sorride!!”. Nell’epoca globalizzata del Pacific Trash Vortex, dei missili intelligentissimi e delle estinzioni, improvvisamente un animale sorrideva. Si prestava.
La cosa ha incominciato a diffondersi su Instagram, e dopo un po’ tutti erano pazzi del quokka e della felicità che gli attribuivano; volevano volare in Australia apposta per incontrarlo. Giusto il tempo di un clic e di un filtro, poi via a una partita degli AusOpen.
L’animale più felice del mondo è in pericolo!
A furia di comparire insieme a celebrità e a comuni mortali tutti ugualmente in posa col sorriso Durbans, l’intrinseca felicità del quokka si è trasformata sempre di più in un attributo oggettivo e sempiterno, tale da oscurare la notizia che parecchi esemplari si stessero ammalando anche gravemente a furia di ricevere in pasto i panini dei visitatori-ammiratori in cerca di autoscatti.
E nel frattempo, naturalmente, l’uomo deforestava e inurbava, beandosi sullo smartphone della felicità del quokka, il quale col tempo sapeva sempre meno dove andare a stare di casa finché oggi non rimane in natura, allo stato libero, quasi solo a Rottnest Island, tra un selfie e un panino imbottito.
Anche Instagram ha iniziato a redarguire i propri utenti con un “Attenzione, il tuo selfie potrebbe non essere incruento come credi”, come accadde per la mania del Loris, ma a quel punto la gente era fuori controllo. Cercate su Google “quokka selfie“: avrete un’orgia di prove. Un mondo di persone felici in selfie con quokka felici. Ma è davvero così? Il quokka cosa dice?
Commiato sorridente
Ma soprattutto, noi cosa diciamo? Perché abbiamo bisogno di questo?
Curiosità di chiusura: in medicina, i quokka sono stati impiegati (o stagisti, visto che non venivano retribuiti con la scusa che tanto erano felici) nella ricerca sulla distrofia muscolare, poiché questa malattia tocca anche loro. Parola dello Zoo di Perth, dove le photo opportunities vi aspettano, se proprio dovete.
Ps: Albert, qui si scherza, eh, you’re still my one and only.
[Post aggiornato il: 30/07/20]
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