Un weekend in giro per Sydney, “capitale morale” australiana oppure no? Questa è la prima parte del mio reportage. Scritto per potermi formare un’opinione.
[Aggiornato il 22 luglio 2020]
Prime impressioni su Sydney
Immaginate una milanese in gita a Roma per la prima volta: ecco, Sydney vista da una che abita a Melbourne appare un po’ così. Tanti colli, fronde strabordanti, nubi di calore umido, disordine diffuso, e una certa insospettata pienezza di cuore.
Ci sono liane che pendono per strada, libellule rosse, cani un po’ meno brutti ma pur sempre brutti come tutti i cani australiani, fiori profumati color cacatua da mettersi nei capelli, e pelle scottata nonostante un fenotipo da profondo Sud e una crema FP+50 sempre in uso.
Sensazioni immediate: Tropicana yé yé, mezzi pubblici ignoti o non pervenuti, ed ecomostri che nemmeno in Albania – forse giusto a Genova quando, arrivando da quell’orribile ponte, insieme al mare compaiono anche la corruzione o la totale assenza di un piano regolatore.
Lo scempio edilizio di Sydney è perdonabile giusto perché, a differenza di Melbourne, qui comunque un vero centro storico c’è. Ed è fatto a misura d’uomo, con pietre e massi sui quali poter girovagare senza sentirsi esseri minuscoli sbarcati su un pianeta integralmente recente e artificiale; e dove poter far pace momentanea (crediamoci, per un minuto) con gli invasori britannici e con un generalizzato senso di colpa, almeno finché si assomiglia più a un inglese che a un Aborigeno.
Nel nucleo della città
A Sydney si mostrano in ogni dove l’esclusiva iconografia navale e l’univoca e altisonante retorica della First Fleet, il primo gruppo di dodici imbarcazioni che diedero il via alla colonizzazione dell’Australia. Compaiono ovunque, dal nucleo dell’insediamento originario (The Rocks) fino ai grattacieli sgraziati, passando per il pub più antico della città chiamato appunto First Fleet. Qui i primi galeotti impiantati discutevano il da farsi e, nel dubbio, se le davano di santa ragione e trasmettevano malattie sconosciute agli indigeni, oltre a sterminarli direttamente.
E se quello servito da queste parti è l’”ottimo cibo tradizionale“, ora capisco perché è Melbourne, e non Sydney, l’indiscussa capitale gastronomica australiana. Ma quanto alla capitale morale? Per cercare di capire continuo la visita.
Punti di domanda
Inizialmente, tutte queste impressioni le percepisco senza entusiasmarmene troppo, causa postumi di un volo turbolento che mi reinnesca, insieme all’ansia da vuoto d’aria, un malessere venuto da chissà dove, quasi nostalgico; che mi porta a chiedermi il perché di questo viaggio come il perché di tutti gli altri, e se non sarebbe il caso di fermarmi e fare i conti con me stessa, che il mondo là fuori – ad avere tempo – è finito, quello dentro no. E a domandarmi se mai amerò qualcosa di australiano come ho amato certi luoghi del passato, perché la vita va avanti, e ormai agli antipodi ci vivo davvero.
Sydney capitale morale? Grazie ai suoi animali!
Ma i Sydneysiders – così si chiamano i residenti – non hanno idea dei miei questionamenti; loro pensano piuttosto al tramonto che sta arrivando, e si affaccendano. Ma chi sono questi “loro”? Sono i pipistrelli a sciami, che volteggiano liberi alla luce del sole calante, e i maestosi cacatua gracchianti (non li conoscete? Fate un salto dai pazzi uccelli australiani al punto #2 e adorateli), che petulano com’è loro abitudine svolazzando vigili.
A loro non importa delle mie mute domande esistenziali; e meno male, perché sono loro, più di noi umani, il futuro inconsapevole. Seguo con sguardo avido l’esemplare più vivace di cacatua, un novello Spiderman che sorveglia instancabile l’etere, si posa sulla cima più alta di un palazzo e guarda giù, dispiegando attento la sua crestina gialla. È il giustiziere di Sydney, e nessuno sembra farci caso. Simply the best.
Natura e arte
A Sydney, natura batte arte. Anche per questo, all’indomani di una prima sera esplorativa passata a gironzolare intorno allo Harbour Bridge, questo famoso ponte metallico francamente brutto (ok i proclami sui suoi record mondiali, ok che lo si può scalare, ma brutto è e brutto rimane), e a immortalare un’Opera House che brilla sfocata e sopravvalutata in lontananza (o almeno così sembra, prima della necessaria smentita), faccio la turista media: spengo il cervello e me ne vado a timbrare il mio cartellino dell’hakuna matata alla spiaggia più famosa del mondo, Bondi Beach.
Prima di poter definire Sydney capitale morale dell’Australia, devo ancora vedere tutto quello che conta.
Lo troverò nella seconda metà del post, con: The Beach, l’incontro con i cacatua, le Vele / la Valva, e una speciale epifania.
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Grazie e buona lettura! 🙂
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