Lieve ed evanescente, come tanti altri intangibili, singolarmente minuscoli episodi di cui la vita femminile è costellata. Auguri, donne!
Me ne sto fresca fresca al banchetto dei fiorellini, appena arrivata in Australia. Distribuisco tulipani gialli ai passanti e raccolgo soldi per qualche buona causa, con il beneficio di imparare a parlare l’Aussie English. Sono intimidita, stanca e infreddolita, e mi sento solo poco più in alto della piccola fiammiferaia sulla scala dei fanciulli disagiati simil-dickensiani; ma ostento un improbabile entusiasmo e sorrido a tutti.
In preda all’influsso dell’italico background giovanilista ed estetizzante, prima di uscire di casa ho usufruito con zelo delle eccellenze della cosmetica, non riuscendo a levarmi dalla testa l’idea che essere più gradevole per lo sguardo altrui (non più curata, ma proprio più attraente) non potrà che aiutare la missione. In fondo, per anni, a me e alle mie colleghe milanesi, un’ignorantissima responsabile tutta imbotulinata (che nel frattempo spero sia schiattata, era Il Male) raccomandava “dai ragazze, mettetevi un po’ di colore in faccia!” e guardava con ostilità chi si presentava con il tacco 8 invece del tacco 12 (essenziale per un lavoro di assistenza alla clientela, già. Io spingevo per i mocassini, figuratevi le vagonate di odio a me rivolte). Certi imprinting ogni tanto riemergono.
Arriva questo signore, con il logo di una grossa istituzione cittadina sulla camicia. Alla vista dei fiori si entusiasma e si mette a declamare versi, a caso ma gradevoli, alla “A thing of beauty is a joy forever”. Discorriamo per qualche istante di poesia. Penso: “Grazie, signore acculturato”, vendendogli un tulipano giallo per la moglie malata. E poi arriva la domanda improvvisa: cosa ne direi, chiede, visto che probabilmente ho bisogno di un lavoro, se mi pagasse lui? Soldi non per il banchetto, ma per me, solo per me? Così non dovrei più stare lì al freddo? (Dickens lèvati!) Alla mia gentile richiesta di spiegazioni ammicca, e fa una faccia viscida come un’anguilla. Mi domando se non sia tutto un rimando letterario a qualche bordello dostoevskiano, e se non dovrei immaginarmi squattrinata con in mano il biglietto giallo al posto dei miti tulipani; ma non oso chiederglielo ad alta voce. L’imprinting riaffiora ancora, intimandomi di mantenermi gentile e gradevole, come sempre quando non è possibile soddisfare le richieste del cliente. Lo saluto augurandogli il meglio per sua moglie. Torno a casa che mi sento in colpa.
Fine.
Buona Festa della Donna, l’unica celebrazione che tratta un gruppo che è una maggioranza alla stregua di una minoranza. Cheers!
Fact che non c’entra niente: qui in Australia la pianta di mimosa è talmente diffusa (in mille varietà, che io amo tutte), che sta persino sullo stemma nazionale insieme al canguro e all’emù. Perciò l’8 marzo non si usa farne scempio e offrirla simbolicamente. E meno male.
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