Kangaroo Island, o se volete l’Isola dei Canguri, è il luogo delle suggestioni misteriose, delle bellezze animate, dell’impossibilità del dominio su un territorio indomito e selvaggio. Questo è il mio umile reportage.
Verso Kangaroo Island, il gioiello del South Australia
Una volta tornata da Kangaroo Island, ripensandoci, realizzo che la mia grande sfida del momento consiste nel conciliare due assunti: 1) che da sempre mi fregio di essere una che si adatta, che sa stare ovunque e con profitto, e 2) che però la psicologia mi definirebbe maladattiva. Insomma, mi adeguo a tutto o invece non mi assesto affatto? O si tratta di testa e croce di uno stesso, disinvolto disagio?
Ma a tutto questo ancora non penso, mentre, lasciatami alle spalle Adelaide, mi dirigo verso la misteriosa isola del South Australia.
Già dal molo di Cape Jervis, dove ci si imbarca verso quella che appare ancora solo una lontana striscia verde, Kangaroo Island odora di accettazione, di docilità – quelle che dovrai per forza fare tue per poterla scoprire.
L’arrivo sull’Isola dei canguri
Non puoi stabilire chi o cosa portarci, per via degli ansiogeni divieti di un’isola dell’isola. Niente patate, niente miele; cani e gatti al guinzaglio e registrati; ma soprattutto niente lepri né volpi! Per fortuna proprio quel giorno non circolo con una lepre in borsetta. Ne ho giusto una di cioccolato pasquale, e nel dubbio me ne sto zitta.
Non puoi decidere dove alloggiare, almeno se hai deciso di andare al risparmio: l’ostello è uno solo. Mi riscopro allora capace di sguazzare a piedi nudi nelle docce comuni senza fare una piega, e di dormire con un ragno per vicino, nella fiducia che ci tratteremo con rispetto – e così è.
Non puoi contare su una copertura wifi per far sapere al mondo in tempo reale che ti è appena passato un pellicano gigante in volo sopra la testa e che, nonostante l’effetto più o meno di un Boeing 747, sei ancora vivo e vorresti rifarlo. Manca la copertura di rete.
Né puoi scegliere dove procacciarti il cibo. Riguardo alla civiltà, c’è troppo poco di tutto (ed è pur sempre la terza isola d’Australia, per dimensioni). Puoi vestire i panni di un local o di un turista di passaggio, ma niente vie di mezzo; e non potendo improvvisarti local su un’isola impermeabile ad ogni assorbimento rapido, nel breve tempo di cui disponi non ti resta che scriverti in fronte “turista”, in virtù dei tuoi scarponcini e binocolo. Per me è straniante, abituata come sono a fondermi con i luoghi senza dare nell’occhio. Ma questa terra indomita non lo permette.
Tour guidato di un microcosmo a parte
Sull’Isola dei Canguri nulla dipende da te. Non puoi prendere decisioni; solo adattarti, assumere la stessa forma dei suoi tempi, aguzzare i sensi e fare grandi respiri di tregua e di mansuetudine. Dirige lei e devi lasciarla fare. La tua volontà ti aspetta al ritorno, sulla terraferma.
E allora entri nell’ottica e ti godi lo scarico di responsabilità, l’impossibilità di iniziativa e tutto quel che segue. Prendi anche tu il pullmino tondeggiante del tour operator (anche perché quasi nessuna compagnia di autonoleggio ti lascerebbe guidare autonomamente in loco, conoscendone le strade sterrate e il buio del dopotramonto), e ti fai scarrozzare in lungo e in largo per il selvatico territorio. Con te, altri visitatori mal assortiti, pronti a lasciarsi affabulare dall’autista-guida e dalle sue storie di vita autoctona.
Il signor Kevin è un local da quattro generazioni, sin da quando lo stato regalava lotti di superficie edificabile pur di antropizzare anche quest’oasi meridionale. Fa bip bip col clacson alla moglie che spunta fuori dall’ufficio postale proprio mentre passiamo; frena in tempo per dare la precedenza ai wallaby che attraversano la strada fuori dalle strisce; indica con precisione chirurgica dove volgere lo sguardo per intercettare i canguri; attira il bestiame fischiettando, e condivide chicche di umorismo locale.
Gli animali selvatici di Kangaroo Island
Prima ancora di imbarcarmi, entro già in ansia da prestazione. Perché io sull’Isola dei Canguri spero soprattutto in una cosa: la wildlife. Lo confesso, non mi interessano troppo i grandi scenari naturali, le rocce erose dal vento da milioni di anni, le baie pittoresche.
Sia perché roccia e sabbia sono inanimate; sia perché sono già stata in Scozia e in Irlanda, al cui paragone ogni paesaggio del genere si ritira sconfitto in un angolino; e quindi davanti alle Remarkable Rocks o all’Admiral’s Arch penso giusto “uhm, carino!”, scatto la foto e risalgo sul pullmino. Sia perché il turismo di consumo (guardare-scattare-ripartire, i cestini del pranzo, “carne o vegetariano?”) è sempre in agguato, e forse è anche per colpa sua che non posso avventurarmi per i fatti miei per la zona. O magari, chi lo sa, semplicemente perché senza accorgermene sono ormai morta dentro un’anima viziata, che non sa apprezzare quasi più nulla, arida e insensibile. Troppa abitudine al viaggio o cinico maladattamento? Vallo a sapere.
E forse allora, ipotizzo, la fauna selvatica mi occorre proprio per ricordarmi che morta non lo sono, neanche un po’, a giudicare da come mi animo davanti a certe apparizioni, e per il meglio di me che riesce a tirar fuori.
Non solo Isola dei Canguri
A Kangaroo Island ci sono i pinguini, le foche, i pappagalli galah e corella che svolazzano a squadre, e tutto un mondo di uccelli nuovi che si mettono in posa e ti sfidano a battere le ali veloce come loro. Ci sono i pellicani e gli emù, i pipistrelli e gli opossum.
E poi ci sono le api liguri, l’ultima colonia al mondo di razza pura, importata più di un secolo prima dall’Italia e mai incrociata con altre. Per la verità non capisco troppo bene in cosa dovrebbe consistere il pregio del pedigree, ma me le descrivono come lavoratrici apprezzatissime, instancabili e poco aggressive (nessuno si stupisce, da un popolo che da sempre prospera grazie all’importazione del lavoro altrui).
Prodotti da degustare
Vibro anche di fronte alle api. A Kangaroo Island, dunque, non solo c’è il buon vino, ma anche il buon miele. E il gelato al miele! Che in realtà sa di vaniglia, ma i produttori ne sono così entusiasti che alla fine, sempre secondo l’assetto locale dell’assecondare e del non contrastare, lodo anche io il loro buon gelato al miele, ringrazio ossequiosamente e risalgo sul pullmino.
Poi all’ora di pranzo ci sono gli orsetti koala. E lì, nella mia ansia concentrata, dribblo ogni conversazione da pasto, ingollo il cibo al volo, rifiuto il dessert prepagato (il dettaglio che dice tutto) che prolungherebbe la mia permanenza al tavolo, e senza aver finito di masticare scappo nel parco sul retro bofonchiando “Beh a dopo, io devo andare a cercare i koala”. Ne scopro una dose più che abbondante, con un bel tuffo nella mia foresta privata di endorfine, mentre il resto della comitiva mal assortita ancora sbocconcella l’insulso tortino di manzo.
Incontri speciali a Kangaroo Island
E poi ci sono gli echidna.
Dell’echidna ho già parlato (qui, nell’aneddoto delle mutande), raccontando del perché sia una creatura meravigliosa. Ma quando ne incontri una là fuori, per la prima volta nel suo habitat non artefatto, il tempo si ferma: ti dimentichi della fretta, del consumismo e pure del disagio, e vivi attimi purissimi. Lei all’inizio non ti calcola e continua ad aggirarsi qua e là alla ricerca di ghiotte termiti nel terreno, ma se ti avvicini alla sua comfort zone rallenta e finisce per fare lo struzzo, infilandosi sottoterra con tutto il muso, immobile, sperando che il mantello dell’invisibilità funzioni. Ma tu sei rispettoso e la lasci subito tranquilla. A proposito: del gruppo, chi ha avvistato per primo l’echidna? E chi ne ha avvistata una seconda poco dopo, con i complimenti della guida, perché già trovarne una sola è considerato un evento raro? Tsk tsk.
Addio all’Isola dei Canguri
L’indomani, mentre saluto l’isola scrutandone il mare, per risalire verso Adelaide alla ricerca dell’autonoleggio e dell’imbocco della Great Ocean Road (la mitica strada turistica del Victoria), c’è un’ultima sorpresa: i delfini. I miei primi delfini, non li avevo mai visti e li sognavo tanto. Non ho le parole, né allora né adesso, per dire la meraviglia della scena. Lancio un urletto mentale di vittoria, e allungo il braccio per condividere la mia scoperta con A. (che anche se scrivo al singolare, è sempre la mia metà del viaggio): ma niente, lui è sparito in bagno a fare la cacca.
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