Adelaide, città – anzi, capitale – del South Australia fondata nel 1836, è speciale per vari motivi. Questo è il reportage di una visita un po’ assurda.
[Ultimo aggiornamento: 23/07/20]
Adelaide, città tra assurdo e lucidità
Secondo il mio amato Camus, il quale suggeriva che le migliori armi di cui disponiamo contro il nonsense che ci circonda siano la rivolta, la libertà e la passione, “l’uomo assurdo” non ha mai motivo di dire no a qualcosa, perché tanto un domani crepa e tanti saluti; e quindi tanto vale che si goda tutto quello che c’è senza discriminare, e sempre lucidamente.
Vale anche per il turismo.
Prime impressioni
Ecco, io devo proprio essere una donna assurda, perché ad Adelaide ho detto sempre di sì e mi è piaciuto tutto.
Anche se oggettivamente la capitale del South Australia pare una cittadina-modello in plastilina, indecisa se assomigliare a: Santa Barbara, la location posticcia del Truman Show, o un villaggio Playmobil creato da un bambino viziato. Non di Lego, ma proprio della Playmobil, la marca bruttina e inspiegabilmente altrettanto costosa; e che però al bambino viziato doveva piacere, perché ci ha costruito e costruito, in larghezza, senza fermarsi mai, tanto c’era sempre posto, e se finivano i mattoncini la mamma gliene ricomprava.
Come è fatta Adelaide
Il bambino-demiurgo Playmobil, nella sua Adelaide, ha piazzato più alberi di quanti se ne siano mai visti in una città. Ci ha messo qualche grattacielo in un centro-città a griglia quadrata, cinto da un’ampia fascia di spazio vitale verde, per sentirsi contemporaneo ma anche green.
L’ha popolata di omini secondo una scala sociale che va dall’abbiente (il minimo) al molto ricco, e – sembrerebbe – anche onesti: perché le casette le ha disegnate tutte ultraristrutturate con il finto effetto mattonelle di marmo sulla facciata, tutte coordinate, con minimo due auto in garage, e niente cancello.
Riuscite a immaginarlo? Una città dove le villette con le palme in giardino non hanno cancello, staccionata, niente, al massimo un muretto decorativo che arriva fino al ginocchio, letteralmente.
Poi il bambino-demiurgo ha immerso la sua creazione in un clima perfetto, con raggi di sole a profusione e senza alcuna umidità; con parchi pieni di pappagalli cacatua, di altri uccelli canterini e di omini gentili e sorridenti come quelli della pubblicità del sugo pronto, entusiasti di una vita semplice, leggera e cinguettante con il solito ritornello di “Yeeeaaahhh”.
Adelaide, città di natura e serenità
E il bambino ha deciso “Questo posto lo ameranno due categorie di persone: quelli che ci abiteranno, e gli uomini e le donne assurdi che lo visiteranno”. Per non scontentare nessuno, ci ha messo da un lato sobborghi con un mare verde così,
e dall’altro lato colline morbide e ancora più verdi. Ha avuto persino un guizzo di intelligenza adulta (o forse solo ben pilotata dalla famiglia) nell’intuire che le colline non dovessero servire solo ad ospitare due mega-zoo e qualche koala in libertà, ma anche a produrre vino buono, e che anche per questo gli omini del posto e i visitatori assurdi sarebbero stati così estasiati.
A queste colline ha dato un nome finto italiano, perché la mamma gli ha detto che per sembrare chic deve suonare italiano; e così in Australia, dopo il pesto Remano e i gioielli Origani, qui abbiamo la celebre Barossa Valley, di cui tutti sono contenti e orgogliosi. I migliori vigneti australiani si trovano qui.
I migliori vini australiani
Se in tutta l’Australia si vuole bere buon vino locale e pagarlo poco, infatti, la scelta obbligata è quella di venire da queste parti (in alternativa ci si può dare alla pratica del BYO).
A sancire tale supremazia, ad Adelaide sorge persino un fantastico Museo Nazionale del Vino, che sedimenta in un’ultramoderna struttura a forma di botte, dove viene spiegato tutto ma proprio tutto sul vino ai felici omini Playmobil. I quali per sentirsi trendy vengono a celebrarvi i matrimoni, e a farsi il book fotografico nel giardino botanico lì accanto.
Adelaide, città di arte e cultura
Poi il bambino-demiurgo ha aggiunto qua e là un po’ di street art di qualità, per un tocco giovane e sbarazzino.
E infine si è detto: manca qualcosa, o gli omini rischiano di venire su belli e scemi. E allora mettiamoci un po’ di cultura.
Essendo un bambino-demiurgo ricco, ha scelto dei musei spettacolari, da far cascare la mascella, tipo quando in Tasmania si visita il MONA di Hobart e se ne trae un nuovo rispetto per gli australiani (anche se di altrettanto spaziale e avanguardistico come il MONA secondo me non c’è niente, in tutto il continente).
Gli abitanti originari
Nei musei della capitale del South Australia, tra le varie cose, ne ho imparate un sacco sugli Aborigeni, sulla loro profonda connessione con gli elementi della natura e con il Dreaming, ossia il loro sistema di credenze. La loro fede e mitologia insomma, che invece che su un uomo che costruì un’arca contro l’inondazione o su un prodigioso spaghetto volante, si basava su un Canguro Gigante e sui suoi amici animali di taglia XL.
(Che poi, il Canguro Gigante in passato esisteva davvero, come ho poi scoperto nel Parco Nazionale delle Grotte di Naracoorte, continuando il viaggio).
Proprio quando iniziavo ad entusiasmarmi a pensare che avrei preferito essere Aborigena piuttosto che figlia di questo nostro sistema capitalista sfruttatore e distruttore, ho trovato conferma del mio sospetto di quanto, in realtà, anche la loro società fosse impregnata di regole e rituali sociali complessi e tutti tirati. Questi mi avrebbero resa un’aborigena altrettanto assurda; e sospetto in più, da donna, nel caso di aspettative troppo grandi l’avrei sempre e comunque presa un po’ in quel posto.
Sta di fatto che il disagio degli aborigeni rimane notevole anche oggi; però intanto adesso so che ci sono boomerang che vanno e vengono e alcuni che vanno soltanto, boomerang per mancini e per destrorsi, boomerang d’attacco e non da lancio, per tramortire le prede. E so che alla bisogna, dalla pelle del canguro ci si può fare un otre, per trasportare il buon vino di cui sopra.
So persino che il mio volatile preferito, il cacatua, è sempre talmente sclerato che persino nei quadri, quando si vuole raffigurare il pazzo del villaggio, si può disegnare un cacatua, ed è uguale, in Australia tutti capiscono benissimo.
Conclusioni
Ad Adelaide ho imparato tante cose, ne ho rimirate altre e ho cantato canzoni ai cacatua, che mi sorridevano dagli alberi. Mi sono persa qua e là, perché quando vado in certi posti sono così ben disposta che non mi importa davvero di avere un piano, qui o lì è indifferente, vado a caso; basta salire su un autobus e strada facendo vedere dove porta, sicuramente qualcosa di bello ci sarà. E quando decido così, è sempre vero sin dal principio, prima ancora di arrivare a destinazione, quale che sia.
Insomma, ad Adelaide sono stata particolarmente assurda in quel senso lì, e particolarmente bene.
Certo però che a viverci, nonostante il vino della Barossa, dopo una settimana con ogni probabilità mi sparerei in bocca.
Il viaggio continua col reportage sull’isola dei canguri: Kangaroo Island! Perché gli australiani non viaggiano, quindi dobbiamo farlo noi anche per loro.
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Grazie e buona lettura! 🙂
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