Ce ne andiamo!
Tremavi un po’ quando mi hai chiamata vicino a te al pc, era la speranza che si giocava tutto. Abbiamo aperto l’e-mail ufficiale e l’abbiamo letta insieme, in due come abbiamo sempre fatto dall’inizio. C’era la conferma che attendevamo, e il responso era: sì. Abbiamo riletto da capo e poi ancora, per essere proprio sicuri. Hai respirato gioia, sollievo, salvezza. Eravamo liberi. Siamo liberi.
L’università qui taglia tutto, tra cui il tuo posto. Chiude i rubinetti. Epurazioni pandemiche di massa, fatte senza cura per un progetto raziocinante o per il futuro. Credevi di essere venuto a lavorare nella Cultura e ti sei ritrovato nel mero business, e ora che, mentre ti ricoprono di complimenti, ti chiedono gentilmente di sloggiare, sei felice. Come non potresti? Le facevi leggere anche a me le vacue e-mail del management, con i loro toni pomposi direttamente tratti dal Congresso degli Scrittori Sovietici del 1934, prive di qualunque sostanza. Ridevamo insieme, e sotto sotto morivamo un po’ di più. Adesso, prima ancora di incassare il compenso in denaro per il disturbo, hai iniziato a sorridere. Quello sguardo che non vedevo più da tempo, quello che hai in Europa e che qui era sempre offuscato.
Io, che per lo stesso motivo già non avevo più il lavoro da un po’, subito disquisivo di pacchi da spedire via da qui, di nuovi affitti da trovare chissà dove, di lingue straniere da riprendere in mano. Mi hai vista trasformarmi, riaccogliere la voglia e la capacità di fare progetti, tornare un po’ me.
Lasciare l’Australia, perché mai?
Me ne sono andata a camminare in riva al mare. Le ho guardate per ore quelle onde regolari e persuasive, quel mare così vasto e indulgente, e ho chiesto a loro. La domanda era: siamo pazzi?
Lasciare una vita agiata, un’esistenza molle, un continente privilegiato? Dire addio alle famose opportunities, invece di trovare un modo per rimanere, di accettare l’opzione locale di riserva che comunque c’era? Salutare un mondo più dolce, dilatato, fermo allo stadio dell’infanzia? E proprio ora, durante una pandemia, che proprio qui sembra finalmente debellata?
Non ne abbiamo avuta abbastanza, in precedenza, di scomodità?
Le onde ce l’hanno messa tutta a convincermi del contrario, ma non è bastato. Che ce ne facciamo di tutto questo mare? Di questo cielo più spazioso del normale, di queste dimensioni titaniche: a che ci servono? Noi siamo solo due e siamo piccoli. Le migliaia di chilometri di spiagge libere e incontaminate, nessuno le vedrebbe mai comunque.
Abbiamo un’anima diversa che vibra oltreoceano, non qui. Abbiamo degli affetti di cui non possiamo fare a meno, diversamente da quel che credevamo.
Allora meglio il caos del Vecchio Mondo, l’incertezza? Sul serio?
Sì. Siamo pazzi, ma almeno siamo vivi.
L’esilio volontario finisce. Torniamo a essere felici. La notte ci addormentiamo mano nella mano. La vita ridiventa un gioco, e avanziamo di un’altra casella. Qualcuno dirà che non sappiamo apprezzare le occasioni, ma la verità è che l’imprinting europeo ci ha fregati sin dall’inizio. E che vivere in un luogo dove ogni giorno ti senti un po’ più ritardato del precedente non è auspicabile sul lungo periodo.
Tornando indietro, verremmo comunque qui? Sì. Per sempre? Anche no, grazie.
Porteremo Lucy con noi di là, le mostreremo il mondo vero. Continuerà ad ispirarmi a scrivere della sua terra d’origine, perché l’argomento di questo blog rimane e perché ho ancora tanta bellezza da raccontare, ma avrà anche nuovi stimoli.
E non dovremo mai più, mai più sentire uno yeaaahhhhh con quell’accento.
Yes!!!
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Grazie e buona lettura! 🙂
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