Mini-riflessione per tutte le donne
C’è una frase particolarmente nefasta che mi ripeteva mia madre, non appena la contrariavo facendo notare un suo comportamento ingiusto verso di me, reclamando un mio diritto, o semplicemente manifestando un mio desiderio o ambizione all’interno della mia famiglia.
Mi diceva: “Stai al tuo posto”.
La volontà di mia madre – una di quelle che oggi definiremmo “madri totali” – era un’istanza assoluta e incontrariabile, e io ero una bambina docile e poco incline allo scontro; perciò ubbidivo. Me ne stavo zitta. Anche perché mia madre, nonostante a parole dichiarasse di amarmi più di chiunque altro, ha sempre invalidato le mie emozioni e i miei sentimenti, con il risultato che per gran parte della mia vita ho imparato a non esternarli mai, se non con poche e selezionatissime persone.
Per questo ancora oggi, ad esempio, non mi preme assolutamente condividere le mie opinioni, dire come la penso, o far cambiare idea a qualcuno, fosse anche un cretino. Perché mentre la mia identità si formava, mi veniva mostrato che nessuno avrebbe tenuto conto di come mi sentissi – tanto valeva tenermelo per me. Se qualcosa – o qualcuno – non mi piace, al massimo me ne allontano e passo oltre.
Oggi trovo che quello “Stai al tuo posto” di mia madre fosse un insegnamento particolarmente deleterio, per più ragioni.
Mi veniva insegnato che qualcuno aveva deciso dei limiti per me, al di là dei quali non potevo neanche pensare di andare. Che se volevo qualcosa, potevo certamente chiederla, ma se non la chiedevo era meglio, così non avrei disturbato. Non dovevo mai disturbare. Disturbare era ingombrare, creava il caos e andava assolutamente evitato.
Così ho imparato ad accontentarmi. A stare zitta se una cosa non mi stava bene o mi metteva a disagio. Avevo visto fare così, non conoscevo alternative.
A lungo se dovevo impegnarmi per qualcosa che volevo ottenere, mi impegnavo segretamente. Questo perché di riflesso avevo l’inconscia convinzione che del mio obiettivo non importasse a nessuno (al massimo giusto per intralciarmi); oppure che se esprimevo un mio desiderio sarei andata a sconvolgere gli equilibri già presenti in un contesto – sgarbo impensabile.
A lungo, da mia madre, mi è stato fatto intendere che la mia forza e il mio potere, di persona e di giovane donna, erano qualcosa che mi era toccato in sorte insieme al cromosoma x, ma che non dovevo mostrare troppo in giro. Non dovevo contrariare nessuno. Dovevo essere gentile e accomodante, per convenienza e per autoconservazione. Non dovevo catalizzare l’attenzione o l’avrei rubata ad altri, sicuramente più meritevoli di me. E se capitava, dovevo chiedere scusa.
Ho imparato egregiamente. Invece di reazioni, reclami e scontri, dove servivano, io producevo sorrisi, silenzi e fughe.
Soprattutto, la frase “Stai al tuo posto” implicava una cosa, la peggiore: il fatto che, se qualcuno marcava male, non potessi mai pronunciarla io a mia volta. Nessuno mi aveva mai suggerito che potevo farlo.
Non finisco il post perché siete lettori intelligenti, sapete benissimo dove voglio andare a parare e non voglio abusare del vostro tempo. (Ci ricasco sempre, vedete?)
Grazie dell’attenzione e buona Giornata Internazionale della Donna a tutte e a tutti. Anche da Lucy, la vostra affezionata marsupiale, nata già libera e tanto brava a indicarmi la via.
(Nelle foto, un po’ di street art che mi piace qui a Melbourne)
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