Prima di parlare del mito di Phar Lap e delle usanze ippiche australiane, una domanda preliminare: quanti di noi hanno mai pensato, all’alba di un promettente weekend di pazzo divertimento, qualcosa come “domenica vado a folleggiare alle corse dei cavalli”? Oppure “Mi metto tutta in ghingheri con trucco e parrucco, magari rimorchio pure, alle corse dei cavalli”? O ancora: “Devo ricordarmi di piazzare una scommessa, quante sorprese, frizzi e lazzi alle corse dei cavalli”? Risposta: nessuno.
L’Australia pazza per le corse
In queste remote lande a testa in giù, invece, la gente – anche la più insospettabile – si dà all’ippica sul serio. Se dite races, le corse dei cavalli, il vostro interlocutore probabilmente assumerà una colorita faccia da intenditore, e in un tipico accento tutto smangiato vi rivelerà l’ultimo aneddoto avvenuto dietro le quinte del settore VIP di un edificio con le divisioni per caste, che pare un Titanic su prato; o magari la recente impresa di rimonta del suo quadrupede preferito. E naturalmente vi parlerà anche di Phar Lap.
Vi ritroverete ad annuire con entusiasmo posticcio, con l’aria esperta come se vostro cugino fosse stato il terzultimo fantino classificato nel lontano 2011.
La Flemington Racecourse, un ippodromo leggendario
Dopo aver riflettuto sulla discrepanza culturale, e unicamente per dovere di cronaca, ho fatto ciò che andava fatto: ho arraffato un biglietto gratis (mica pagavo!), e in una ridente domenica di fine estate mi sono spinta, concentrata come un paparazzo in incognito, fino a questo famoso ippodromo a nord-ovest di Melbourne, accanto al fiume Maribyrnong. Volevo capire cosa succede nel luogo dove i Melburnians, e non solo, si ammassano, cicalecciano, banchettano, si ubriacano, tessono lodi a Phar Lap, sfilano, esultano e tornano a casa con il portafogli alleggerito, ma sempre sentendosi gente giusta e avente diritto.
Per dire, il Victoria Racing Club, che gestisce il tutto, conta la bellezza di 29000 membri!
(Percentuale di australiani che si pone problemi di etica animale, consapevole delle criticità del sollazzarsi facendo gareggiare animali appositamente allevati, e che spesso ci rimettono la salute o proprio ci restano secchi: non pervenuta. Velo pietoso cercasi, io non parlerò di questo perché va da sé).
Effettivamente la Flemington Racecourse è uno scenario ammaliante. L’erbetta è verde, il è cielo azzurro, come nei disegni dei bambini, e in lontananza lo skyline della City saluta tutti. Sembra anch’esso disegnato, per quella particolarità che fa sì che intorno ai grattacieli delle metropoli australiane non ci siano case più basse e grigiore, bensì altro verde.
Credo che dalla mia bocca sia uscito un “Oh, lovely!” in accento british, come sempre quando ad esprimersi è la mia parte svampita e impressionabile.
Da brava reporter wannabe, mi sono talmente camuffata da aver dietro solo il mio smartphone arancione, subito scambiato da un bonario cavallo a riposo per una carota. Gli animali sentono sempre che “ho qualcosa”: stavolta sono le carote. Accarezzandolo vorrei domandargli perché mai non si sia ancora verificata un’insurrezione equina nei confronti di questa gente che li costringe a correre loro malgrado e anche a rischiare gli zoccoli; ma il ronzino al momento ha l’aria troppo svagata, obnubilata dall’oppio del carotene.
Il mito di Phar Lap, il cavallo da corsa più amato
Ho appuntamento per la visita guidata dello Heritage Centre dell’ippodromo sotto la statua di Phar Lap. Che a uno che non lo conosca potrebbe sembrare un individuo losco come un dittatore cambogiano, tipo Pol Pot, messo lì a caso, invece no: è un cavallo.
Phar Lap è IL cavallo, una brava bestia marrone acquistata in Nuova Zelanda per un prezzo irrisorio e che negli anni ’29-’30, a sopresa, vinse tanto e benissimo. Così bene da diventare il simbolo della lotta contro la Grande Depressione, perché si sa, “gli australiani amano chi lotta e non si arrende” (continuate pure aggiungendo la retorica da combattimento che più vi piace).
Così famoso che il mistero della sua morte (per malattia? per avvelenamento?) viene trattato come quello di una persona.
Gli australiani venerano Phar Lap a tal punto da aver piazzato il suo corpaccione, in tassidermia, al Melbourne Museum, affinché sia ammirabile da tutti. Il suo coraggioso cuore di corridore è conservato a parte, ed esibito sottovetro, a Canberra, la capitale. Sobrietà.
Sfilata di cappelli per un giorno
Phar Lap dunque veglia sulle orde di cinesi che si fanno fotografare sotto le sue vigorose natiche, con i grattacieli sullo sfondo. Mi chiedo cosa direbbe lui se potesse parlare, alla vista delle mise di gran parte della popolazione femminile presente, che sembra uscita da uno di quei matrimoni inglesi tra celebrità arricchite.
Intorno a Phar Lap circolano abiti tanto eleganti quanto improbabili, e soprattutto cappelli dalle sembianze aliene. Cappelli-cesti-da-frutta, cappelli-torta, cappelli-chiavi-di-violino, insomma, cappelli a cui manca solo la parola. Nel dubbio se ci sia anche un cappello con sopra un cavallo, di sicuro però c’è un cavallo con il cappello.
Ovviamente, sul posto, non avendo alcun copricapo da competizione, mi struggo in silenzio. Starei benissimo con un cappellino a forma di siepe, di cavallino, o già che ci siamo di carota.
Un Carnevale modaiolo e “La gara che blocca la nazione”
C’è una ragione nello sfoggio spropositato di outfit festivi e festanti.
L’ippodromo vede la luce nel 1840, praticamente insieme alla città di Melbourne, e ospita la prima gara nel 1861. Esattamente un secolo dopo, si decide che non ci sono abbastanza donne spettatrici, e che la situazione va corretta attirando le nuove generazioni. In pratica: ci vogliono femmine, diamo loro due nastrini e lasciamo che vengano a noi! E oh, funziona.
Nasce, sul posto, lo Spring Carnival, uno sciccosissimo evento primaverile fashion che dura diversi giorni, in corrispondenza della singola gara di cavalli più famosa dell’anno, la Melbourne Cup, “la gara che blocca un’intera nazione”. Questo è in assoluto il giorno in cui è possibile avvistare il maggior numero di bizzarri esemplari femminili abbinati a mirabolanti cappelli, anch’essi con lo sguardo giudice e un’opinione su tutto.
La Melbourne Cup è talmente amata che il giorno in cui si svolge, ogni primo martedì di novembre, è una public holiday, un giorno festivo. Alle tre del pomeriggio in punto, tutti, e dico tutti, non solo a Melbourne ma nell’Australia intera, interrompono qualsiasi cosa stiano facendo per seguire alla tv quei pochi, adrenalinici secondi di gara. L’ultima volta ci ho provato anch’io, ma evidentemente ero troppo straniera, perché ho palpitato esattamente come davanti alla visione di un sasso.
I vestiti inconsapevolmente pacchiani, comunque, danno gran soddisfazione all’osservatore infiltrato. Trattandosi dell’evento modaiolo all’aperto più importante del continente, si svolgono vere e proprie sfilate e competizioni, con ricchi premi e cotillons.
Ma la cosa più bella è che questi esemplari femminili sono visibili ovunque anche in città durante tutti i giorni del carnevale! Si aggirano ansiose, in attesa del loro turno o della gara per cui hanno scommesso. Se in metropolitana vi trovate accanto una sosia di Camilla Parker-Bowles vestita a festa, insomma, è tutto normale, sono le races! Ecco qualche scatto rubato alla tv:
E poiché in Australia, tra lo stile di vita all’inglese e quello del restante melting pot, ogni cosa vien fuori un po’ a modo suo, anche gli abiti delle races hanno quantomeno il pregio di essere unici, dando il nome a uno stile: Racewear. Una volta, la proprietaria di un negozio di abbigliamento upper class mi ha raccontato che per un paio di mesi all’anno, i suoi profitti sono quasi tutti dovuti alle races. Vestiti e accessori che sfido qualunque donna italiana ad acquistare, naturalmente.
La mia visita all’ippodromo purtroppo non si svolge durante il mitico carnevale (né ai bei tempi andati di Phar Lap, ahimè!), perciò i miei avvistamenti di femmine con cappelli significativi, pur notevoli, non sono tra i più fruttuosi. Anche i fantini compaiono e scompaiono.
Da Phar Lap al Kitsch assoluto
Per fortuna però due chicche, con le quali vi saluto e vi ringrazio per avermi seguita fin qui, mi ripagano dell’assenza dei tornei di abiti kitsch.
La prima: il sumo finto. In mezzo al prato si svela un maxi-tappeto per i lottatori di sumo, ai lati del quale giacciono due costumi da omone obeso dentro cui è possibile infilarsi, aiutati da due assistenti, per poi lanciarsi grassamente contro l’avversario. Delle scene meravigliose. Peccato che ci siano 35 gradi e io non abbia bevuto abbastanza da gettarmi nella mischia: rimane un grosso rimpianto nella mia vita.
La seconda chicca è l’artista di varietà annunciato sin dall’inizio della giornata: l’imitatore, anzi, l’impersonatore di Psy. Giuro, lo presentano proprio così. The impersonator. Trattasi di un vispo omino travestito da Psy, il celebre cantante sudcoreano di Gangnam Style ormai passato di moda in Europa. E probabilmente, dato il cronico ritardo in cui versa il continente rosso in termini di musica e spettacolo, presentato qui in anteprima! Lui e i suoi ballerini saltellano come in uno show condotto da Simona Ventura, davanti a un pubblico in visibilio.
Da un lato sono basita; dall’altro ricordo bene di essermi esagitata in stato di ebbrezza su quelle stesse note il giorno del mio matrimonio, perciò mi fingo indifferente e mi dirigo verso l’uscita. Ovviamente dopo aver aspettato la fine di Gangnam Style.
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Grazie e buona lettura! 🙂
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