Questo blog non poteva dirsi completo senza un’occasionale rubrichetta in onore di coloro che, Down Under, invece di utilizzare l’inglese alla maniera dell’uomo della strada, cioè limitandosi a ordinare un large flat white o a elogiare compulsivamente la land of opportunities, hanno osato servirsene per quella pratica gratuita e perfettamente inutile che è la letteratura.
Provatelo voi l’atto sovversivo di far letteratura in Australia! Magari a gennaio, con tutti in ferie e 43 gradi sulla pellaccia, quando gli Open di tennis da guardare comodamente sotto al condizionatore sono tutto ciò che riuscite a mettere vagamente a fuoco. Provateci, a far letteratura senza aver avuto a pavimentarvi la strada gli antichi Greci, gli antichi Romani, il Medioevo, il Rinascimento! A chi sfida il sistema in una realtà così ostile e svantaggiata va tutta la mia stima e ammirazione.
E dunque quale testo, se non uno intitolato “Australia”, poteva inaugurare la qui presente estemporanea selezione? Un breve brano disagiato eppure lucidissimo, scritto da una donna trasferitasi Down Under con la famiglia da ragazzina, alla quale non sono sfuggiti i lati oscuri delle differenze socio-spaziali-temporali-culturali tra i due mondi.
Ogni somiglianza con il sentire di chi si esprime da questo blog, ça va sans dire, è puramente intenzionale ed enfatizzata.
Uno scritto incisivo, lapidario, che mi ha colpita come un pugno.
(Troveranno spazio anche testi impregnati di positività e ottimismo, no worries! Anche perché questo Paese è composto al 90% di queste due sostanze allo stato gassoso. Il restante 10% è gomma delle infradito).
L’autrice, Ania Walwicz
Classe 1951, scrittrice e artista visuale. Polacca di origine, in Australia dal 1963, nei suoi lavori ha dato spazio tanto a riflessioni sull’ex-patria quanto sull’Europa tutta come luogo di provenienza e identificazione, oltre a indagare la realtà del suo presente con prosa e poesia sperimentale e avant-garde. Ha insegnato creative writing all’RMIT di Melbourne, dove vive.
Il testo
Prosa poetica del 1981, esprime tutto il malessere del soggetto alle prese con l’integrazione alle nuove forme e valori Aussie. Il nuovo universo è gigantesco ma vuoto, conformista, poco interessato; si fonda su un nuovo ordine di grandezze, di spazi e tempi rispetto al quale si giunge dall’Europa impreparati. Down Under anche il pensiero funziona diversamente, eroso e bruciato dal sole, sprovvisto di metodo e di ordine, permeabile a ciò che si trova dentro al confine ma chiuso verso il dissimile che ne resta fuori; e sempre secondario agli smisurati elementi naturali, indifferenti e sornioni.
Un pensiero pur padrone ma poco mobile, in qualche modo già condannato.
Ma la perdita principale, strettamente correlata ai tentativi di valorizzazione individuale e alle opportunità di approfondimento del sé, è quella del linguaggio, di una lingua che scorra davvero fluentemente. Un problema di sopravvivenza per la giovane immigrata, il cui testo si costruisce ricalcando questa forma mentis incerta e incespicante. L’inglese si frammenta, si semplifica, evapora, si ripete, cantilena, si allittera, nella ricerca di una propria voce, disarmato di fronte alla realtà insieme molle e dura che lotta per esprimere.
Lo “You“, soggetto e destinatario, diventa l’Australia intera tanto quanto i suoi singoli abitanti, dalla mentalità solo falsamente curiosa, tutta concentrata sulla produttività e sulle dimensioni, grossa vacca da mungere e bestia da lavoro, inebetita dalla tv e dalla medietà. Un minimalismo linguistico che riflette il senso individuale non solo di piccolezza, ma anche di regressione, di sospensione, di risentimento, e purtuttavia di disperata ricerca: perché il brano è tenace e, pur zoppicando, non molla. Né le manda a dire.
Lascio il testo originale in inglese, un inglese volutamente facile e semplificato. Le traduzioni preferisco lasciarle a chi è del mestiere; i fratelli e le sorelle millennial mi capiranno, gli altri mi perdoneranno. Il grassetto è mio. Buona lettura, sarò felice di leggere cosa ne pensate.
AUSTRALIA
You big ugly. You too empty. You desert with your nothing nothing nothing. You scorched suntanned. Old too quickly. Acres of suburbs watching the telly. You bore me. Freckle silly children. You nothing much. With your big sea. Beach beach beach. I’ve seen enough already. You dumb dirty cities with dirty bar stools. You’re ugly. You silly shoppingtown. You copy. You too far everywhere. You laugh at me. When I came this woman gave me a box of biscuits. You try to be friendly but you’re not very friendly. You never ask me to your house. You insult me. You don’t know how to be with me. Road road tree tree. I came from crowded and many. I came from rich. You have nothing to offer. You’re poor and spread thin. You big. So what. I’m small. It’s what’s in. You silent on Sunday. Nobody on your streets. You dead at night. You go to sleep too early. You don’t excite me. You scare me with your hopeless. Asleep when you walk. Too hot to think. You big awful. You don’t match me. You burnt out. You too big sky. You make me a dot in the nowhere. You laugh with your big healthy. You want everyone to be the same. You’re dumb. You do like anybody else. You engaged Doreen. You big cow. You average average. Cold day at school playing around at lunchtime. Running around for nothing. You never accept me. For your own. You always ask me where I’m from. You always ask me. You tell me I look strange. Different. You don’t adopt me. You laugh at the way I speak. You think you’re better than me. You don’t like me. You don’t have any interest in another country. Idiot centre of your own self. You think the rest of the world walks around without shoes or electric light. You don’t go anywhere. You stay at home. You like one another. You go crazy on Saturday night. You get drunk. You don’t like me and you don’t like women. You put your arm around men in bars. You’re rough. I can’t speak to you. You burly burly. You’re just silly to me. You big man. Poor with all your money. You ugly furniture. You ugly house. Relexed in your summer stupor. All year. Never fully awake. Dull at school. Wait for other people to tell you what to do. Follow the leader. Can’t imagine. Work horse. Thick legs. You go to work in the morning. You shiver on a tram.
Testo tratto da: “The Literature of Australia – An Anthology”, General Editor: Nicholas Jose, W. W. Norton & Company, New York – London, pag. 1225.
(Foto: Pixabay)
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