La pecora merino, soprattutto in un blog sull’Australia come questo, necessita di un post tutto suo! Scopriremo da dove viene, dove si alleva e come è fatta la sua lana pregiatissima. Con un excursus più generale sul perché gli ovini siano animali meravigliosi, che hanno capito la lezione più importante della vita; e dunque sul perché li amo moltissimo. Tutti, non solo i merino.
La pecora merino: chi l’ha inventata?
Innanzitutto, perché si chiama pecora merino, o merinos? Pare che il nome derivi dalla dinastia dei Merinidi, che regnarono sul Marocco e passarono più volte in Spagna durante l’Alto Medioevo, conducendovi anche le loro pecore, antenate delle merino.
Lì si iniziò a “creare” la razza, tramite attenta selezione e incroci mai lasciati al caso. Fino almeno al Seicento, la merino era un’esclusiva spagnola! Fu poi “concessa” alla Francia, per poi diffondersi via via in vari Paesi.
In Australia la pecora merino arrivò nell’Ottocento insieme alla colonizzazione europea, trovando ampi pascoli per i propri denti. Territori vastissimi, che non si sapeva come sfruttare, finalmente avevano un senso grazie a questi docili animali, così diversi da quelli nativi locali.
Pecora merino (e non) australiana
Oggi le merino, con le loro possenti corna (per i maschi) avvitate su se stesse verso l’eserno, sono considerate parte del patrimonio nazionale australiano. Circa metà degli esemplari mondiali arrivano da qui!
Se ne trovano tantissime anche in Nuova Zelanda, dove anzi sono più numerose degli abitanti umani.
Da quando vivo in Australia, finora la mia esperienza a diretto contatto con gli ovini si limita, al di là del fare ciao ciao con la mano ad esemplari di pecore campestri per esserne completamente ignorata, a uno show di cani da gregge a cui ho assistito in un parco faunistico, avente per protagonista – oltre appunto al cane – la pecora merino. Oltre a toccare con mano quanto sia morbida la sua lana prima ancora di qualsiasi lavorazione, ho scoperto che uno sheep dog, per il suo talento nella gestione e protezione delle greggi (un cane solo fa un lavoro pazzesco!), può costare anche 14000 dollari, ma non per questo sarà un animale meno alla mano.
Per scoprire qual è e dove si trova la pecora merino più grande del mondo, leggi qui:
Non solo pecora merino: una passione
Il mio amore per gli ovini non è nuovo: quando abitavo a Berlino avevo per amico un ariete nero, pecora nana comunicativa e ormai vecchierella; ogni volta che andavo a salutarlo a Görlitzer Park lui mi belava tutto allegro, si avvicinava al recinto e mi si offriva da entrambi i lati per ricevere coccole e grattini. Invece quando gli altri cercavano di toccarlo pestava il piede stizzito. Giuro. Merito della costanza, perché gli ovini riconoscono i volti e hanno buona memoria. Eccolo qui.
In Scozia e in Irlanda, poi, ho avuto numerosi incontri ravvicinati ed emozionati con queste bestie, ammirabili soprattutto nel loro regno personale sull’Isola di Achill, dove imperano con classe su di noi umani-sudditi e circolano liberamente ovunque. Danno il benvenuto negli alloggi ai turisti, ma anche in spiaggia; fanno persino il bagno nei fiumiciattoli.
Il Centro per le Pecore e per la Lana, Irlanda
Da quelle parti ho scovato il pregevolissimo Sheep and Wool Centre sentendomi come a Disneyland. In questo centro a tema, il visitatore si trova circondato da pannelli informativi e raccolte fotografiche, arnesi per tosare e filare, con una vecchina-sorvegliante che permette di toccare la lana prima e dopo il trattamento di rimozione della lanolina.
Questa sostanza è impermeabile a tal punto che i pescatori irlandesi erano soliti farsi i maglioni belli lanolinosi, contro l’umidità! Per questo gli ovini restano imperturbabili anche sotto la pioggia; e per questo, per portare un souvenir originale dall’Australia, più volte ho optato per una crema alla lanolina, bella grassa e mai fuori moda, che quaggiù si produce a palate.
Dopo aver letto fin qui, qualcuno dirà: e quindi?
E quindi, ora dirò del perché amo tanto questi esseri, che mi affascinano come tutti quelli rimasti vittime, per un motivo o per l’altro, di un malinteso socioculturale.
Superiorità ovina
Ancor prima del malinteso, amo gli ovini perché parlarne mi riporta alla bellezza della lingua italiana e al suo stupendo manifestarsi nei termini che li definiscono. Sono mammiferi, erbivori, ruminanti, cavicorni (le corna del maschio sono vuote), artiodattili (hanno le dita in numero pari). Ma prendiamo anche parole come: mangiatoia, abbeveratoio, mungitura, ovile, bestiame. Non sono bellissime?
Di carattere, le pecore inoltre sono docili, mansuete, riservate, schive; ma nonostante le apparenze, sanno sempre cosa succede intorno a loro e si ricordano di chi si possono fidare e di chi invece ha fatto loro uno sgarro.
A tal proposito, infatti, trovo l’insistito paragone, più che mai odierno, tra gli ovini e il popolo bue ingiusto e inadeguato. Non entro nel merito, ma ci siamo capiti: anche qui i poveri ovini sono illegittimamente sminuiti. Certi astiosi populismi,tra gli ovini, non avrebbero attecchito. Sarebbero semplicemente rimasti ignorati, ne sono certa.
Ma soprattutto, le pecore hanno compreso la lezione più saggia che ci sia: e cioè che a fronte di persone e situazioni moleste, non serve prendersela, non farà che avvelenare noi stessi e non inciderà sulla sorte del nostro più o meno consapevole avversario. Voglio dire, nessuno – umano o animale – è il karma, tranne il karma stesso (o bisognerebbe dire la karma, giacché un’entità così tenace ed accurata non può che essere femmina, scusate, eh!).
Davanti a un fastidio che non possono controllare, le pecore rimangono zen. Non che non temano il pericolo, altroché, vorrei vedere voi se vi inseguisse qualcuno al fine di divorarvi, ma non appena il rischio svanisce tornano placide come un agnellino (e ci credo, spesso sono agnellini). Non stanno lì a rosicare, a detestare, a covare odio e rancore. Sanno istintivamente, e senza arrivarci via inferenze astruse, che questo nuocerebbe a loro per prime. E quindi eccole di nuovo a ruminare placide, a belare, a pascersi, tra le poche cose sensate da fare se ti capita di nascere ovis aries, aka mammifero, ruminante, erbivoro, eccetera.
Saggezza ovina
Già diverse religioni, erroneamente, scambiarono questa saggezza ovina con un’eccessiva purezza e innocenza, e quindi ecco trovata la scusa perfetta per accanirsi contro i più giovani esemplari (“è così innocente, sacrifichiamolo!“, pensiamoci: ma WTF?) nonché per scofanarsi agnelli su agnelli (almeno gli amici abruzzesi sono più onesti nel loro edonismo da arrosticini).
E vogliamo parlare dell’unico giorno da leone di cui molti sognano di godere, barattandone indietro cento da pecora? Io, per me, me li terrei ben stretti i miei cento giorni da pecora, una bella pecorella di prato australiano, serena e al sole, con la mia erbetta da brucare e il venticello che mi accarezza il manto, e soprattutto con a disposizione il Tempo, e nemmeno sentirlo.
Vorrei invece che, sebbene qualche pecorella ogni tanto si smarrisca, non si perdesse per strada la nozione di superiorità ovina, ossia di quella virtù di atarassica imperturbabilità, di abilità nel non lasciarsi scalfire dai guai, quali che siano. Il saper conservare un proprio spazio di tranquillità ovunque ci si trovi. Ecco perché la pecora è straricca senza bisogno di alcun vello d’oro, con gran dispetto di gente come Nietzsche che non si faceva una ragione di quel suo semplice essere animale, quel riuscire a stare al mondo senza turbe, semplicemente brucando, esistendo.
La prova della sua impermeabilità lanolinosa all’ansia? Alla pecora nera non vengono i capelli bianchi.
Fact: appena arrivata a Melbourne, tra le mille cose strane che ho fatto per imparare a interagire in Aussie English capendoci qualcosa, un giorno durante una fiera ho fatto la guardiana a un recinto di pecore. È stato bellissimo, peccato per tutti quegli umani!
NB: questo post risponde anche alla domanda che mi viene spesso rivolta da due anni e mezzo a questa parte: come fai a non odiare chi ti ha sparato?
Voilà voilà.
Beeeeeeh.
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Grazie e buona lettura! 🙂
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