Due vessilli cittadini a confronto
UN PALAZZO CON SORPRESA
Il mio condominio australiano (che come racconta una targa all’ingresso, all’epoca delle carrozze era una fabbrica di bombole a gas, poi riconvertita in un bowling tamarro – questa la memoria storica locale) assomiglia a quel rompicapo con cui si giocava da bambini pre-digitali: un cubo trasparente labirintico in cui far transitare una pallina da uno spigolo a quello opposto, con più precisione di un tecnico della Ferrari. Quando sono venuta ad installarmici, carica di bagagli come un mulo, mi sono persa. Se fossi stata una bestia da soma smarrita, almeno avrei potuto ragliare per lo sconforto, e invece neanche quello.
Per fortuna, però, lo sgomento iniziale è stato rimpiazzato dalla scoperta, dopo i primi tempi passati a vagabondare per orientarmi tra i livelli e settori di questa costruzione asettica, più videosorvegliata di un panopticon, di un felice segreto: che un tunnel riservato collega direttamente il mio piano con l’ingresso posteriore di un fantasmagorico locus amoenus, Aldi. Che è tipo il Lidl, ma meglio, come sempre più persone ormai sanno.
NEL MAGICO MONDO DI ALDI
Improvvisamente sono stata pervasa da pura gioia, sentendomi proprio arrivata. Non solo nella nuova casa avevo una stanza degli ospiti per ospitare libri e scarpe (indubbiamente meglio delle persone), ma avevo anche Aldi! What else.
Perché qui nel mio adorato quartiere di St Kilda, Aldi è un lifestyle, the place to be, e per più ragioni:
®) Da Aldi si rinnova quotidianamente il gusto per l’assurdo dell’esistenza. La pasta Barolla; gli smileys da giardino in pietra giallo fluo, grandi quanto un bidet; le statuette-scoiattolo (con variante puzzola) da esterni, dall’espressione ricolma di terrore e male di vivere; il gelato Fiasco, il maxibon Milfina Bonza, il cibo per cani nel reparto “umano”, e i teneri bocconcini di bambini. Da uscirne rassicurati.
®) Grazie ad Aldi dispongo di: punching ball da picchiare selvaggiamente; aggeggio per fare uscire l’acqua gasata (con l’etichetta che vanta, testualmente, una produzione ad opera di “israeliani e palestinesi fianco a fianco in pace e serenità”); sedie con supporto integrato per reggere sia la lattina di birra che il bicchiere di vino; libelli e opuscoli su gemme, cristalli, pianeti, energia, rettili, squali eccetera; e altre mirabolanti (in)utilità che adesso, a rileggerle, mi fanno sentire in colpa. E a volte, direttamente dalla Germania, arriva anche l’Apfelschorle, per rinfrancare e purificare corpo e spirito! Insomma, Aldi offre il conforto della Vecchia Europa, ricolma di mirabolanti beni rifugio, in salsa esotica. Rimane da vedere se prima o poi mi deciderò a far mio il monociclo della corsia numero cinque.
®) Da Aldi si riscoprono la libertà primigenia, la bellezza interiore e il vero senso del multi-kulti.
Ci puoi andare vestito come ti pare e nessuno farà mai caso a te, tantomeno i commessi indiani, spagnoli, sudcoreani e australiani che ti accolgono con il loro automatico “hi, how’s it going” (senza punto interrogativo, perché è solo un saluto, non una vera domanda).
Sono mesi che metto alla prova il sistema, sfidandolo con outfit sempre più assurdi, ma ancora non l’ho mandato in crisi. La mia mise più ovvia, ossia pigiama, ciabatte e scatolone per trasportare i prodotti, è sempre superata dalla gente scalza, vestita da spiaggia o da Hare Krisna, convinta che quello che le manca in fatto di suola le ritorni indietro in coolness e mindfulness.
Ma anche quando mi impegno al massimo, tipo con la combo di pantofole brillantinose, pigiama di Pusheen, vestaglia maculata in pile, chiavi appese al collo con ciondolo di peluche, e cuffiona hipster su una pettinatura da pazza scappata dalla clinica, nessuno mi nota nemmeno per sbaglio, e comunque c’è sempre qualche vecchietta che riesce a fare di meglio (quella di oggi aveva un caschetto blu, e una rete da pescatore come maglia – i miei due soli ricordi, per il resto è amnesia traumatica).
Solo una volta un signore ha indicato ripetutamente i miei pantaloni finti pitonati con aria raggiante: pensavo di star perdendo qualcosa dalle tasche, e che lui avesse raccolto di nascosto i miei venti dollari per poi canzonarmi, invece no, era proprio genuinamente felice per i miei pantaloni, e si è allontanato radioso.
®) Aldi stimola la vita sana.
Ad esempio ieri mattina (un sabato), invece di una grassa dormita, sono stata costretta a puntare la sveglia per potermi trovare all’ingresso segreto di Aldi dieci minuti prima dell’apertura. Volevo comprare in superofferta il pc da cui ora scrivo, e conoscendo l’andazzo, ho scelto il metodo talebano, quello dell’appostamento tattico.
Nonostante fossi la prima in attesa, sono stata superata lungo le corsie da persone invasate e sgomitanti che mi tagliavano la strada alla Schumacher, per correre ad accaparrarsi il megatelevisore con cui guardare la Formula 1 e le mitiche televendite locali. Già esausta, sono risalita in casa, appoggiando il pass al sensore dell’ascensore esclusivo col gesto affaticato del vip di serie C in incognito, tronfia del mio nuovo pc mediocre ed economico; e per smaltire le forti emozioni sono tornata a letto fino alle due. Ma ciò non contraddice il fatto che Aldi stimoli una vita sana e regolare, perché chiunque altro, a parte me, sarebbe rimasto in piedi e avrebbe compiuto un sacco di azioni significative, rendendo memorabile la propria giornata.
IL DISAGIO DA GRAND PRIX
®) Aldi ti protegge.
Qui siamo nei giorni del molestissimo Australian Grand Prix. Per voi lassù ciò significa al massimo qualche ora di intrattenimento in tv a orari bizzarri; per noi comporta deviazioni dei già precari mezzi pubblici, l’odioso rumore delle auto da corsa che per quattro maledette giornate, da Albert Park arriva sin dentro casa (e non siamo nemmeno nello stesso quartiere!), elicotteri che sorvolano tutto (fino a convincere il mio ego paranoico dell’evidenza che no, a loro non interessa paparazzarmi, ma solo girare stupidi video di auto in corsa), uccellini terrorizzati che non sanno dove rifugiarsi. E soprattutto l’orrifico aereo militare che compare rombando e piroettando su tutta la città, passando a tanto così dalle finestre delle case, facendo tremare tutto e procurando infarti qua e là (anche adesso sta tornando, aiuto, addio!).
Avendo notoriamente un problema con i forti boati (nel mio cervello sonnecchia ancora la memoria di spari e granate, cosa che va al di là del mio pensiero controllabile, è proprio un riflesso neuronale), mi sono messa a ringhiare, chiedendomi istintivamente dove mi sarei potuta nascondere. Ma avendo i mobili bassi e non potendo scivolare sotto al letto o al divano, e sprovvista di un bunker o della tana di Lucy, ho pensato: “scendo da Aldi”, confidando che nella sua onnipotenza mi avrebbe protetta. Invece sono rimasta paralizzata col battito a mille, attendendo rassegnata lo schianto dell’aereo e la morte; e più tardi ho notato che persino l’inossidabile Aldi mostrava segni di turbamento… Carina, questo il nome della stakanovista commessa-robot importata direttamente da Berlino Est, indossava un badge con scritto “James”, e l’ho sentita dire “Sono umana anch’io”. Ha tenuto duro per noi.
Comunque, per organizzare un Gran Premio a due passi dal centro città, presso il laghetto di Albert Park abitato da cigni neri, opossum, pappagallini e cacatua (per non parlare del Gran Premio di Phillip Island, che non è lontano da qui e che va a terrorizzare i pinguini e tutta la wildlife), bisogna proprio essere delle bestie.
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