Mezzanotte. Ricevo il suddetto messaggio sibillino e stanante. Mollo tutto ed esco sul balcone.
![luna](https://lucythewombat.com/wp-content/uploads/2018/02/luna.jpg)
Mi si offrono, nell’ordine: sedia da outdoor con il pratico braccino per reggere il bicchiere di vino (valida alternativa al moccolo, nelle serate in cui sono sola e non dubito gli appartamenti adiacenti ospitare stormi di coppiette tubanti); plaid, binocolo, grilli e una smisurata, misurata eclissi di superluna; stelle a manciate e una quiete sospesa, benigna. Proprio come a Milano, insomma. Uguale.
Sospetto sia la ricompensa inviata da Zeus per le innumerevoli fasi lunari trascorse nel vespaio meneghino tra latinos ubriaconi, cinesi intruppati in dieci in un bilocale di prostituzione e malaffare, e famiglia perbene veneta dall’altro lato della parete che al primo incontro mi chiedeva con sospetto: “Ma siete italiani? Ma italiani italiani?”. Ovviamente fu subito chiaro che i veneti facevano più casino di cinesi e peruviani messi insieme, inestirpabili come la gramigna, durevoli come le grandi epidemie. E i loro cicli lunari li conoscevamo tutti, ché la nonna veneta amava comunicare dal balcone a tutto il firmamento: “La Sara, ha il mestruoooo!!”. Meglio il melting pot condominiale australiano dove nessuno saluta, non sia mai, ma almeno c’è si-len-zio, parcellizzato e corale (essendo i grilli non un vero suono, ma brillantini luminosi che adornano la calma). Anyway.
La superluna in penombra si mostra rossiccia, fulva, ruvida e rumorosa nel suo silenzio. Perché non so voi, ma a vedere questo cerchio così tondo, sospeso e placido, io ho il mal di spazio: non riuscendo a concepire la cosmica assenza totale di suoni, me la immagino con quello che conosco, col fragore.
![gatti](https://lucythewombat.com/wp-content/uploads/2018/02/gatti-e1517420752276.jpg)
Dopo una ventina di minuti fissi nel binocolo, la mia irrequietezza da animale della steppa si placa, perché non appena il satellite si oscura, in un bagliore residuo vengo a capo del nesso.
La luna periodicamente entra nel cono d’ombra. Non se lo va a cercare, né smette per questo di girare, ma accade. Non può evitarlo. Confonde lucidità e offuscamento, sonno e veglia, non riflette più ma rimugina al riparo da telescopi indiscreti, canticchiando nella mente what should I do, I’m just a little baby! what if the lights go out, and maybe…? E che avesse un suo caratterino lo si poteva già intuire dal nome, eclissi o eclisse a seconda di come (le) gira, così vi potrà sempre dire che lei non è come voi la definite. Anzi non ve lo dirà, ché l’eclissi non parla, ma ve lo farà capire, oh se ve lo farà capire.
![carrozza](https://lucythewombat.com/wp-content/uploads/2018/02/carrozza-e1517421321790.jpg)
L’eclissi è una modalità di relazione puntuale ed economica. Non si disperde in spiegazioni, saluti e notifiche. Si eclissa e basta. Non ne informa il mondo, è il mondo che ha imparato a prevederla.
L’eclissi nella sua vita precedente doveva essere il suo contrario, la ridondanza. Stava sempre là e quindi ora, per riequilibrare, ogni tanto dice arrivederci e grazie, oppure non dice proprio niente, sparisce e si riassesta. Lontana da tutto, dai peruviani e dai cinesi, dai veneti, dai milanesi, dagli australiani e anche da voi, ché l’eclissi non discrimina.
E poi riemerge, così, senza dare nell’occhio.
![statua](https://lucythewombat.com/wp-content/uploads/2018/02/statua.jpg)
Quindi no worries.
Ho finito di scrivere e la luna è di nuovo là, più in alto, splendente, già dimentica.
“Les monstruosités font des ombres énormes
Jusque sur l’âme humaine et sur le firmament”
Victor Hugo, Éclipse
[Moon photo: from the Web]
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