Nel parlare di Uluru, monte sacro agli Aborigeni e cuore pulsante d’Australia, mi sento un po’ una profanatrice. Le parole non mi sembrano mai all’altezza: mattoncini gretti e limitati, di fronte all’immensa forza, potenza e meraviglia che scaturiscono nell’animo alla visione dell’iconico monolite.
Figuriamoci quindi se invece della magia di Uluru, l’argomento sono i dettagli concreti per una visita. Chi mi segue sa anche che non do quasi mai informazioni pratiche sui luoghi di cui racconto, per non offendere l’intelligenza del lettore che sa ben trovarsele da sé, aggiornate, sui siti ufficiali (del turismo o dei singoli luoghi). Ma Uluru è diverso, da tutto. È unico.
I siti web locali sono tutti estremamente dispersivi (all’australiana, per intenderci). E su quelli in italiano mi è capitato di leggere una notevole quantità di imprecisioni oltre a qualche vera e propria baggianata. Inoltre Uluru è un posto davvero difficile da immaginare, quando si pensa a visitarlo. Ha ritmi ed esigenze tutti suoi, e se si parte poco informati il viaggio è rovinato. Insomma: l’Uluru del mio cuore è l’occasione giusta per buttarmi nella redazione di una mini-guida pratica. Anche per chi non può andarci, e merita lo stesso di avere un’idea concreta di come funziona il landmark più famoso del Continente Rosso.
E all’obiezione del momento che l’Australia ha i confini chiusi, rispondo: sì, ma li riaprirà.
Domande fondamentali
Uluru dove si trova esattamente? Come ci si arriva? Dove si alloggia? Come lo si visita? Cosa bisogna tenere presente? Quali accessori portare? Cosa indossare? Quando andare? Queste domande, quando si parla di Uluru, non sono mai banali. Organizzare un viaggio a Uluru da soli, senza passare per tour operator intermediari, rimanendo interamente padroni del proprio tempo e delle proprie decisioni, è fattibilissimo se sapete tutto quel che occorre.
Per me, parlare di cose pratiche è anche un modo per approcciare timidamente da lontano il mitico monolite, per cercare di raccontarlo rispettandone le dimensioni. Ma se chiudo gli occhi, subito mi rivedo di nuovo in scarponi tutti rossi di terra, senza introduzioni, tutta unta di repellente anti-mosche e crema solare, a calpestare il suolo che avevo tanto sognato e a sbalordirmi a ogni passo di quel perimetro pazzesco. E a farmi domande ben più fondamentali di quelle contingenti. Però cominciamo dall’inizio.
Ayers Rock o Uluru? Significato e sfumature
Prima, una precisazione. Uluru è il nome aborigeno del massiccio roccioso, mentre il nome ufficiale del luogo è doppio: Uluru/Ayers Rock. Attenzione perché usare solo il toponimo inglese Ayers Rock, scelto dai primi esploratori bianchi verso fine Ottocento e a lungo mantenuto come unico nome, oggi è piuttosto malvisto in Australia. Infatti, nel processo di riabilitazione degli Aborigeni e della loro legittima presenza sul territorio, è stato ripristinato anche il termine tradizionale Uluru, che oggi predomina. La parola, in una delle numerose lingue autoctone, significa “strano”. Giustamente.
Stesso discorso per i monti Olga, a circa 50 km da Uluru, che di solito si visitano nello stesso viaggio (sono molto meno reclamizzati eppure altrettanto imperdibili!): oggi hanno integrato anche il nome tradizionale e si chiamano Kata Tjuta/Mount Olga. Kata Tjuta significa “molte teste”, e si fa presto a capire perché.
In qualsiasi discorso dunque, usare esclusivamente le denominazioni inglesi è percepito come poco rispettoso verso le popolazioni indigene. L’insieme complessivo di queste formazioni montuose e della zona in cui sono situate costituisce un unico parco nazionale: Uluru-Kata Tjuta National Park.
Dove si trova l’Uluru-Kata Tjuta National Park e come arrivarci
Uno sguardo alla mappa che segue vi darà un’idea di quanto Uluru sia isolato da tutto. La prima città degna di essere chiamata tale, Alice Springs (mon amour!), dista più di 450 km, lungo strade interamente asfaltate.
Ho specificato il tipo di terreno perché quando ci si muove nel Northern Territory, lo Stato australiano di cui stiamo parlando (la cui capitale è Darwin e si trova sulla costa del Nord), la distinzione di strade asfaltate/non asfaltate – rispettivamente sealed roads e unsealed (o gravel) roads – è una delle prime cose a cui bisogna prestare attenzione. A meno che non si guidi una 4WD.
Aereo o auto?
I modi principali per raggiungere Uluru dal resto dell’Australia sono quindi diversi, e prevedono quasi sempre un po’ di aereo:
- MODO 1. Si vola su Alice Springs (ASP), aeroporto più grande, e con un volo secondario di un’oretta si raggiunge il minuscolo aeroporto di Ayers Rock/Uluru (Connellan Airport, AYQ. Se siete pignoli come me avrete notato che il nome doppio è rovesciato, rispetto a quanto detto prima. Ma è così solo per questo aeroporto!).
- MODO 2. Si vola su Alice Springs, si noleggia un’auto (non serve il 4WD) lì in aeroporto o in centro città, e si arriva a Uluru guidando per qualche oretta. Lungo il tragitto non c’è quasi niente se non due o tre stazioni di servizio (Roadhouses) molto pittoresche e ben fornite, ma la guidata è suggestiva (meriterà un post a sé). Attenzione: le tariffe delle auto a noleggio aumentano notevolmente se riconsegnate l’auto in una località diversa. Perciò, per risparmiare potrebbe convenirvi organizzare il viaggio in modo tale da tornare ad Alice dopo aver visto Uluru. Complicato? Sì. Ma in Australia si perde un sacco di tempo, sempre. È tra gli sport nazionali.
- MODO 3. Si vola direttamente su Uluru dalle principali città australiane (come ho fatto io, da Melbourne, nel dicembre 2020).
- MODO 4. Naturalmente si può anche attraversare l’Outback, ossia le sconfinate pianure aride e semi-aride australiane, su quattro ruote e arrivare così al nostro monolite. Vi occorrerà una preparazione particolare per l’auto e le provviste, che esula da questa guida. Informazioni in inglese qui.
Dove alloggiare per Uluru: Yulara (per forza!)
Vicino a Uluru dove dormire? Insieme ai voli e al noleggio dell’auto, anche ai pernottamenti dovrete pensare per tempo, impensabile non prenotare prima di partire. Va detto che una volta capito il meccanismo tutto particolare degli alloggi a Uluru, scegliere dove soggiornare sarà facile e anche divertente.
In pratica, bisogna per forza dormire nella cittadina di Yulara, sulla strada tra l’aeroporto e il monolite. Si tratta dell’unico luogo che offre sistemazioni in mezzo a un restante nulla cosmico, tra deserti e pianure prive di insediamenti umani, quindi la scelta è obbligata. Siccome i gestori del territorio sono furbi, campeggiare liberamente nelle aree non preposte (leggi: Yulara) è vietato. Qualcuno lo fa lo stesso, ma i controlli ci sono e le multe molto salate.
Yulara però, che conta circa un migliaio di abitanti fissi, non è un villaggio qualunque: è un centro pensato esclusivamente in funzione del turismo a Uluru. È costituita quasi esclusivamente da un’enorme struttura ricettiva, il Voyages – Ayers Rock Resort, il quale ingloba più tipologie di alloggi, per tutti i gusti e per tutte le tasche.
L’Ayers Rock Resort a Yulara
Al Resort, potrete scegliere tra:
- Un hotel di lusso;
- Un glamping di lusso.
- Un hotel di categoria medio-alta con vista sul monolite, uno di fascia media e un boutique hotel;
- Appartamenti;
- Un ostello;
- Un campeggio con bungalow e piazzole per tende e camper/van.
Il Resort è talmente esteso che funziona come una piccola cittadina (di fatto è come se lo fosse). Ci sono servizi, ristoranti di ogni tipo, supermercati, piscine, attività organizzate… Non avrete mai bisogno di uscirne (anche perché ripeto, fuori non c’è nulla per gli umani), se non per visitare Uluru e Kata Tjuta.
Se questa vi sembra una formula posticcia, non temete: in barba alle dimensioni enormi, in tutto il Resort l’ambiente è abbastanza tranquillo e c’è spazio vitale per tutti (in Australia lo spazio ve lo tirano dietro!). Certo, in alta stagione può essere anche pieno (prenotate in anticipo!); ma dimenticatevi i villaggi turistici caotici, l’esperienza qui è veramente bella e funzionale. Così bella che prima o poi le dedicherò un post a parte, così ora andiamo avanti.
Aggiungo solo che il Resort dista giusto 5 minuti di macchina dall’aeroporto, e che per chi non ha l’auto (perché magari torna all’aeroporto a noleggiarla il giorno dopo) è attivo un servizio di navette di collegamento. Nel Red Centre (nome informale di tutta questa regione, che ho introdotto qui) non c’è bisogno di fare alcun passo a piedi.
Uluru, quando andare: differenze tra le stagioni
Com’è noto, e in barba ai terrapiattisti, le stagioni funzionano all’incontrario dall’altra parte del mondo (Lucy, qui accanto a me, grugnisce perché ho scritto una cosa troppo ovvia. Scusa, Lucy!). Il che torna comodo a chi sta leggendo dall’Italia, perché per evitare le temperature roventi, l’ideale per visitare Uluru è il suo inverno, proprio quando nel nostro emisfero è estate e possiamo più facilmente pensare a viaggiare.
Giugno, luglio e agosto sono i mesi migliori, in cui la calura diurna è tollerabile e la sera fa freschino (diciamo un freschino da felpa, giacca e per qualcuno anche sciarpa). Da novembre a febbraio, l’estate locale e considerata bassa stagione, andate a Uluru solo se non avete altra scelta.
Anche se personalmente, nel mio viaggio fortunatissimo a Uluru (nei prossimi post spiegherò perché), ci si è messo anche il meteo ad arridermi: era dicembre, eppure aveva piovuto nei giorni precedenti alla mia visita (pioggia che mancava da due anni!), rinfrescando tutto, rendendo gli animali molto più attivi, e le escursioni e i trekking all’aperto molto più sopportabili. Ma è stata un’eccezione.
Cosa vedere a Uluru? Cosa fare? In quanti giorni?
Farò ora un sommario di tutte le attività proposte dalla zona, tra le quali probabilmente dovrete scegliere a meno che non abbiate tanto tempo. Vi aiuterà a capire quanti giorni volete trascorrere nella zona.
Il concetto fondamentale da tenere sempre presente è uno: tutte le attività, soprattutto quelle naturalistiche, ruotano intorno ai momenti cardine dell’alba e del tramonto (a orari precisi che quindi variano un pochino di giorno in giorno). Questo sia per una questione di paesaggi da ammirare (le famose luci cangianti del monolite, diversissime nei vari momenti della giornata) sia di temperature sopportabili. Perciò non potete pensare di stipare le attività lungo tutta la giornata come in qualunque altro posto, ma dovrete pianificare attentamente cosa volete fare e quando.
Durante le ore centrali del giorno, quando la calura è eccessiva, più che altro si sta al Resort, si nuota in piscina, si recupera il sonno perduto a furia di svegliarsi prima dell’alba… Spesso non è possibile fare diversamente: gli accessi ai massicci rocciosi chiudono per il caldo quando il termometro supera una certa soglia. Al Resort si può anche sempre partecipare alle attività proposte. Con queste non si intendono tornei di freccette o corsi di zumba, ma brevi e interessantissime dimostrazioni incentrate sulla cultura tradizionale indigena, tenute da Aborigeni simpatici e disponibili.
Le attività da non perdere
Ecco le principali attività possibili nella zona (in neretto quelle per me imprescindibili):
- Vedere il monolite all’alba;
- Vedere il monolite al tramonto;
- Camminata a piedi lungo il perimetro del monolite;
- Visita al centro culturale accanto al monolite, per conoscere le tradizioni aborigene, vedere mostre e acquistare artefatti;
- Percorso intorno al monolite in mountain bike o in segway;
- Vedere Kata Tjuta all’alba;
- Vedere Kata Tjuta al tramonto;
- Trekking a Kata Tjuta;
- Giro in elicottero su Uluru, Kata Tjuta o entrambe (costa un rene ma ne vale la pena!);
- Visita alla Camel Farm, la fattoria dei cammelli, e volendo giro sul cammello con Uluru sullo sfondo (nessun maltrattamento animale, questi qui sono coccolati e viziati in cambio del servizio!);
- Visita serale al Field of Light, la celebre installazione di 50.000 lampadine colorate come fiori luminosi nella notte;
- Attività del Resort.
E la scalata al monolite? Quella, come avrete già sentito dire, non si può più fare dal 2019. E meno male, perché gli Aborigeni (che poverini, sono stati abbastanza vessati in questi ultimi 200 anni) si sentivano profanati da questa pratica dei bianchi, nel loro luogo della spiritualità più sacra. Come se a un credente cattolico qualcuno entrasse ogni giorno nella cattedrale più importante per mettersi a fare la cacca in giro, per dire. Lo avevano chiesto in tutti i modi di proibire la scalata, e finalmente sono stati ascoltati. Nel prossimo post parlerò di altri motivi per cui è un bene che l’impresa sia stata vietata.
Ci vediamo quindi nella prossima puntata per parlare dell’Uluru-Kata Tjuta National Park. Il luogo offre davvero tanto, molto più che qualche vista mozzafiato e fotografie da urlo. A me ha regalato un’esperienza insieme avventurosa e contemplativa che mi è rimasta dentro, conficcata come un paletto rosso nel petto. E al pensiero, solletica le mie corde emozionali e le fa vibrare tutte, ogni volta.
Se c’è qualcosa in particolare che volete sapere, scrivetemela nei commenti!
La mia introduzione sentimentale al Red Centre era qui:
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Grazie e buona lettura! 🙂
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