Di recente mi è successa una cosa assai sgradevole. Negata da chi mi vuole bene, negata ostinatamente e con insistenza; con tanta forza quanta è quella dell’amore nutrito nei miei confronti e perciò, obbligatoriamente, di fatto invece rinforzata.
L’insorgere del problema
Delle prime avvisaglie ho iniziato ad accorgermi per gradi, come sempre nelle dinamiche complesse, subdole e totalizzanti. L’inizio è coinciso con il soffrire di PTSD, perciò quell’altra cosa insidiosa che collateralmente mi accadeva rappresentava l’ultimo dei miei problemi.
Poi c’è stato il trasferimento in Australia, un continente che, diciamolo, profuma di eucalipto dall’ottimo potere detox, ma di sicuro non brilla come rimedio al problema che mi affligge. Lì c’è stata la depressione profonda, che di sicuro non mi ha aiutata. Poi l’isolamento. E proprio quando finalmente mi stavo riprendendo bene, è arrivata la pandemia.
Adesso, dal mini-attico germanico da cui scrivo, nonostante i progressi della virologia, rimango isolata, lavoro da casa (opportunità salvifica, per carità) e interagisco di persona con un essere umano di numero, a parte quando vado al supermercato e sentenzio importante “Karte bitte, Danke, Tschüss”. Ma sto divagando.
Vedete? Facendomi trasportare dal senso di liberazione che questa confessione porta con sé, mi stavo dimenticando di descrivere il problema. Dunque eccolo. È molto semplice: sento che sto inesorabilmente, ineluttabilmente, inconfutabilmente diventando scema.
Chi mi legge e mi trova un po’ simpatica penserà “Ma no dai, non è possibile”, e invece no, io vi dico che è proprio così e che non so come uscirne. Mi sto tramutando in un individuo stupido. Vorrei disperatamente poter impiegare la mia mente a livelli migliori di quelli a cui attualmente si trova, ma non mi è possibile.
Perché l’Australia fa diventare stupidi
Va detto che, tra i fattori sopraelencati, la mazzata più grande alla mia neonata stupidità l’ha data l’Australia.
Ora, io l’ho amata, lo sapete se l’ho amata e tuttora inspiegabilmente la amo probabilmente più del dovuto, ma benedetto il cacatua, quanto è scema l’Australia? Quanto istupidisce chi vi si avventura? Tantissimo. Se vuoi rimanere intelligente, in Australia è meglio non permanere.
Lì è tutto così facile, così ottimista, così semplificato, che le tue facoltà intellettive semplicemente si ottundono, se ne vanno in letargo sotto una palma nana e quando si risvegliano non sono più del tutto se stesse. È superficiale, l’Australia. Non richiede particolari sforzi, se non quello di orientarti quando ti avventuri nel bush perché lì i cartelli mancano o non sono chiari, tipo che invece che verso destra o sinistra puntano in direzioni multiple, tridimensionali oppure inesistenti. In quei casi però, più che di sfoderare raffinatezza di pensiero si passa direttamente ad assecondare un violento e alquanto inatteso istinto di sopravvivenza, perciò è un’altra storia.
In Australia, a forza di rivolgerti al prossimo con “Hi, how are you!” e “All good!” o di leggere volantini illustrati che simpaticamente ti spiegano in più pagine come devi attraversare la strada o reggerti agli appositi sostegni sul bus, le tue istanze cerebrali alla fine abdicano, e chi s’è visto s’è visto.
Fonti di stupidità aggiuntiva
Lo so, lo so, in giro si dice anche che il lockdown mondiale non abbia aiutato i cervelli a mantenersi sani e stimolati. La ripetizione e la monotonia delle vite chiuse dentro le case e le occasioni mancate hanno spento ogni guizzo di genialità nel quale si potesse ancora ottimisticamente confidare. Fine. Kaputt.
Poi c’è il mio attuale lavoro. Che mi piace assai, beninteso, mi mantiene attiva e mi porta a imparare novità. Ma per certi versi mi obbliga a calarmi in panni più superficiali e frivoli di quelli che sono realmente i miei, e il mio pensiero rimane intirizzito invece di dispiegarsi. Mi hanno ripetuto che le cose devo farle semplici e poi ancora più semplici, altrimenti la gente non capisce e reagisce con un rifiuto, per cui piano piano mi sono forzata a diventare così. Quando finalmente ho preso a settarmi di default sul livello richiesto, qualche mio altro neurone si è rintanato in un cantuccio comodo comodo tra le circonvoluzioni della mia materia grigia, affermando “cinque minuti e torno”, e non l’ho visto svegliarsi più.
Una cosa simile accade persino sul blog. Scrivere avendo in mente non solo l’esprimersi, ma anche il farsi trovare dai motori di ricerca è una faccenda tutta tecnica che se la conoscete, bene; se non la conoscete è meglio che continuiate fiduciosamente ad ignorarla. Una cosa è certa: anche per seguire queste necessità il pensiero si incaglia, si incatena, insomma si abbrutisce.
Come si comporta lo stupido
E quindi niente, sono più stupida di prima. Ad esempio, ogni tanto la mia dolce metà mi dice una cosa, o mi fa una domanda, e io gli rispondo con un sorriso ebete e l’aria da cane. Sapete la faccia del cane, quando vi ama e vi guarda felice a priori ma non ha idea di cosa stia succedendo, pur percependo eccitazione tutt’intorno? Quell’espressione lì, con cui spero almeno di ingraziarmi benevolenza. Non riesco a processare integralmente la frasi che mi vengono rivolte. Chiedo spiegazioni aggiuntive. Faccio domande cretine. Credo a cose implausibili. A volte rinuncio in partenza a capirne altre. Rido per scemenze inaudite che un tempo mi lasciavano perplessa. Poi mi capita di ritrovare a sorpresa alcune mie vecchie prove di brillantezza, tipo la tesi di laurea, e un’afflizione profonda mi assale.
Sentirsi diventare stupidi, un destino comune?
Non oso nemmeno rivolgervi apertamente la domanda se anche a voi sia mai vagamente accaduto qualcosa di simile, perché potreste rispondermi di no e farmi sentire ancora più inadeguata. In barba al Guardian che ha appena dettagliato in un articolo come il destino dei neuroni, se si vive rinchiusi, con limitate possibilità di spostarsi e di interagire, sia più o meno questo per chiunque. Ma si sa, io ai giornali autorevoli non credo perché ormai sono stupida. E mi struggo.
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Grazie e buona lettura! 🙂
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