13 NOVEMBRE
UNA RICORRENZA E QUALCOSA DA DIRE
Per il primo anniversario volevo soprattutto essere bellissima. Il corpo, la materia di cui siamo fatti e che diamo per assodata, fatta di muscoli e ossa e nervi e forma, quel corpo che sarebbe potuto uscire sfregiato o senza vita da quella notte, per tanto così era ancora tutto lì, e ancora stentavo a crederlo.
Allora il 13 novembre 2016 mi sono messa il mio rossetto e i vestiti preferiti e ho portato il mio corpo in un posto speciale, con vista sulla Tour Eiffel e sui tetti di tutta Parigi, per realizzare o almeno provarci. Il dolore dentro, ma la necessità vitale di restare concentrata sul bello. Perché era un anniversario più grande di me, un momento nella sofferenza soprattutto altrui, di chi aveva perso ben più che l’innocenza; ma anche una sorta di funesto compleanno all’incontrario, una celebrazione di ogni nuovo sguardo sul mondo e di ogni respiro non scontato.
Per il secondo anniversario non è andata molto diversamente.
NORMALITÀ?
E nemmeno quest’anno, sebbene ora mi sia trasferita dall’altra parte del mondo, il mio 13 novembre potrà essere un giorno come gli altri. Se avete mai vissuto un incidente, un lutto, un qualcosa di molto brutto, saprete che è difficile fare come se niente fosse. Ci si vorrebbe a tutti i costi alleggerire del peso trasparente di una data simbolica, eppure tutto e tutti sono lì a rievocarla. Se poi la data è quella di un evento collettivo, i conoscenti si rifanno vivi per sapere se ci sarete, gli amici vi scrivono che mancate, chi vi sta vicino e vi ha visti adombrarvi giorno dopo giorno sin dall’inizio del mese si assicura che possiate trascorrere una giornata speciale, lontana dai ricordi traumatici e vicina a una parvenza di serenità.
Ci si domanda se sia meglio fare lo struzzo, vivendo la propria giornata con il profilo più basso possibile, oppure esprimersi, anche in virtù dell’ovvia legittimità per farlo. Dire qualcosa libererebbe un po’ e, data l’occasione, magari ci sarebbe pure qualcuno in ascolto.
Alla fine ho ceduto e questo è il mio messaggio, che il mio accesso a internet mi consente di depositare fin nel vostro emisfero. Contiene l’unica cosa davvero importante da dire.
COS’È SUCCESSO
LA TEORIA…
Ricordo che, settimane dopo l’attentato, quando mi arrivò a casa la lettera che spiegava che volendo potevo costituirmi parte civile nel processo, mi avevano colpita due cose. La prima erano le date di nascita degli assassini, praticamente miei coetanei. La seconda erano i loro luoghi di nascita e di residenza, località della Francia e del Belgio.
Questi ragazzi, talmente deviati e colmi d’odio da ritenere che altra gente a caso meritasse di morire un venerdì sera qualunque, erano della stessa nazionalità della maggior parte delle loro vittime. Non venivano da lontano, parlavano la loro stessa lingua.
… E LA PRATICA
Tuttavia noi sappiamo che un conto è la teoria su carta, un altro la realtà dei fatti. Nella realtà, si può crescere in un ambiente e avvertirne tutta la precarietà, l’ostilità, la segregazione, le disparità di trattamento. Se cresci in banlieue e hai un nome arabeggiante e la pelle un filo più scura, il rischio di tutto questo è maggiore. Per i più deboli può essere molto difficile non cadere nelle reti degli odiatori professionisti. Nessuno là fuori, soprattutto “dall’alto”, deve aver detto (credendoci) a questi ragazzi che contavano come gli altri, che avrebbero avuto le stesse possibilità, la stessa accettazione e lo stesso successo sociali, o che con l’impegno sarebbero potuti arrivare a occupare posizioni di primo piano nel mondo. Gli esempi, per loro, erano ancora troppo pochi. Già è stato difficile crescere per noi, figuriamoci se avessimo fatto parte di un gruppo sociale più svantaggiato, quello dei figli degli immigrati. Figuriamoci se anche a noi avessero detto che non dovevamo stare dove stavamo, che eravamo troppi, che non c’entravamo niente con una cultura già radicata, che rubavamo il lavoro, che vestivamo male, che non era giusto che godessimo degli stessi diritti. Per qualcuno dalla personalità fragile e i contatti giusti, è un attimo imboccare la strada del rancore e della distruttività. Il mondo poi ne fornisce così bene i mezzi, a lui non importa di cosa c’è nei nostri miliardi di piccoli cuori pulsanti.
RABBIA
Eppure io non sono arrabbiata con questi ragazzi che sono andati in giro a sparare sulla gente (anche perché sono morti anche loro, quindi tanto furbi non erano). Sono arrabbiata con lo ieri e con l’oggi che hanno permesso e continuano a permettere tutto questo, con il mondo che invece di creare condizioni migliori per tutti (o, più realisticamente, almeno di provarci), cosa fa? Emargina, ostacola, preclude. Mette in giro più armi, fa credere che siano essenziali per difenderci. Sono arrabbiata perché troppe persone non sembrano aver chiari questi meccanismi, nonostante oggi esistano categorie e strumenti che dimostrino l’ovvio.
COSA SUCCEDERÀ
Sono arrabbiata perché vedo che quello che io e altre persone abbiamo vissuto non è servito, non se ne trae nessuna lezione, o alla peggio si cerca di strumentalizzarlo. Da tutte le parti, troppi continuano a sostenere che l’altro sia sbagliato, e che se non fosse per questo altro, allora sì che si starebbe meglio; e in molti continuano a crederci invece di zittire immediatamente, con indignazione e scherno, chi propaga questi ideali per i propri fini di controllo e arricchimento.
Non ce la posso fare a pensare che nel 2018, con tutti i problemi gravi di questo mondo, ci sia ancora gente che odia gli altri. Che sogna di decidere chi è di serie A e chi di serie B. Che si arroga il diritto di uscire di casa e di sparare su qualcuno senza nemmeno conoscerlo.
NOI
Ho paura che quello che è successo a Parigi, un domani succeda anche in Italia, se continuiamo a dimostrarci un popolo così pieno di astio e di rifiuto. Perché alla fine avremo detto, a chi oggi è ancora piccolo, che merita di meno, che non è gradito. E non c’è messaggio peggiore che si possa comunicare.
Però voglio pensare che molti di noi siano meglio di così, e allora vorrei dire a chiunque non si senta parte di questo discorso di ostilità onnivora: fatevi sentire, zittite chiunque anche solo provi a sostenere tesi inaccettabili, lasciate che certe idee malsane si ritrovino sole e isolate. E prendetevi cura dell’altro, per quanto in vostro potere, non fatelo sentire solo là fuori. Non siamo soli, nonostante sia più comodo per chi odia farcelo credere. Il mondo non fa così schifo, il bicchiere è mezzo pieno, cambiare si può, se ognuno fa qualcosa nel suo piccolo.
Forse servirà.
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